Ricordare la nostra storia è un imperativo morale. Per queste ragioni, oggi 25 aprile, è bene presentare, soprattutto ai più giovani, alcune figure di docenti, che negli anni grigi della dittatura fascista, quando il clima consigliava, per quieto vivere, il conformismo e la vile acquiescenza, mantennero la schiena dritta e non ebbero timore di testimoniare al Liceo "Secusio" di Caltagirone la loro fedeltà agli ideali di verità e libertà che insegnavano dalla cattedra ai loro studenti.
di Giacomo Belvedere
«L’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva: la storia insegna, ma non ha scolari», scriveva Antonio Gramsci. La conseguenza è, come ci ammonisce il filosofo e scrittore spagnolo George Santayana, che «quelli che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo». Questa sua sentenza è incisa in trenta lingue sul monumento nel campo di concentramento di Dachau.
Rientrato a Caltagirone
nel 1926 al Liceo Secusio, il giovane professore non rinunciò alla sua abituale
franchezza e libertà di parola, anche quando si trattò di riprendere il suo
vecchio docente di filosofia, il prof. Grassi, che si era lasciato andare ad
apprezzamenti poco lusinghieri nei confronti del clero, propagandando inoltre
una sorta di mistica fascista panteistica. In una lettera al preside del 1
giugno 1927, Marino riafferma la sua stima e riverenza verso il suo antico
professore, ma ritiene di dover difendere la sua «dignità di uomo, di
educatore, di cattolico»: «in cose simili io avrei protestato anche contro
mio padre e mia madre e contro il mio più grande benefattore, giacché al
disopra del padre e di ogni benefattore sta il Padre nostro che è nei cieli,
Dio, che è padre e benefattore dell’umanità».
Come era prevedibile, le posizioni del professore calatino, suscitarono la reazione del regime. Una denuncia anonima sull’attività sovversiva del prof. Marino giunse il 25 luglio del 1935 al Ministro dell’Educazione Nazionale: il professore veniva accusato di diffondere a scuola il “verbo del disfattismo”.
Il locale Fascio segnalò l’attività “sospetta” di Marino al Federale di Catania, che ordinò di tenere sotto stretta sorveglianza il professore calatino. Anche il Provveditorato fu interessato alla questione, a seguito di una denuncia del Nucleo Universitario fascista, e fece pressione, tramite il Preside del Liceo Secusio, perché Marino non portasse più pubblicamente, “nemmeno a passeggio”, il distintivo dell’Ac, la cui esibizione gli era stata già da tempo interdetta a scuola.
Marino si rifiutò sempre di portare durante le parate fasciste la camicia nera e rispondeva alle ottuse pretese del regime con la superiore ironia dell’intelligenza, indossando la divisa di ufficiale del regio esercito, nel quale aveva militato ed era stato decorato durante la Grande Guerra: il che equivaleva a rigettare l’accusa di scarso senso dello Stato.