Pubblicato il 03/03/2023
ATTUALITÀ

Matteo Messina Denaro: “Essere mafiosi è un onore. Siamo perseguitati, ma la storia ci darà ragione”



Così in un pizzino, un vero e proprio “Manifesto” di Cosa Nostra, che il padrino indirizza idealmente alla sorella minore Patrizia a al nipote Francesco, all’indomani del loro arresto nel 2013. Ribadisce con orgoglio la sua identità di uomo d’onore, ingiustamente perseguitato da uno Stato malvagio e oppressore.  

di Giacomo Belvedere

«Essere incriminati di mafiosità, arrivati a questo punto, lo ritengo un onore». È l’incipit di un pizzino, un vero e proprio proclama ideologico di auto-legittimazione di Cosa Nostra,  che il super boss Matteo Messina Denaro scrive il 15 dicembre 2013, indirizzandolo idealmente alla sorella minore Patrizia a al nipote prediletto Francesco, figlio di Rosalia, 68 anni, la maggiore delle quattro sorelle del boss, arrestata oggi. Il pizzino è stato scritto due giorni dopo  l’esecuzione di un’importante ordinanza di misura cautelare emessa dal Gip di Palermo nei confronti  di diversi parenti del latitante (cosiddetta Operazione Eden), tra cui appunto la sorella e il nipote. Patrizia, 52 anni, e Francesco Guttadauro stanno espiando una condanna a 16 anni per associazione mafiosa. Nello scritto, il padrino ribadisce con orgoglio la sua identità di uomo d’onore, ingiustamente perseguitato da uno Stato malvagio e oppressore. 


«Rappresenta davvero – scrive il Gip Alfredo Montalto nell’Ordinanza di misura cautelare, che ha portato oggi all’arresto di Rosalia Messina Denaro – un manifesto di Cosa Nostra e al contempo una chiamata in correità dei protagonisti (cioè la destinataria diretta, Rosalia, e quelli indiretti, cioè l’altra sorella Patrizia e il nipote Francesco). Inquietanti ed eversive le espressioni condivise dal capo mafia con “Rosetta”, soprattutto nelle parti in cui egli definiva la donna (e con lei l’intera associazione) “perseguitati , sopraffatti  da uno Stato, prima piemontese e poi romano che non riconosciamo”, concludendo che “essere incriminati di mafiosità è un onore”».


Il pizzino era stato ben occultato dalla sorella Rosalia nella casa di campagna a Campobello e riprodotto in altro pizzino rinvenuto, assieme ad altri, all’interno della gamba cava di una sedia di alluminio, nell’abitazione di via Alberto Mario a Castelvetrano. Via Alberto Mario di Castelvetrano è la casa di famiglia dell'ex latitante, dove è nato ed è vissuto e da dove è iniziata il 6 giugno 1993 la sua trentennale latitanza. A lungo abitazione del nucleo familiare d'origine, attualmente ospita solo Rosalia, che utilizza  la casa per trascorrervi alcune ore della giornata e per dormirci nelle ore notturne.


Il padrino ha toni accorati, da exul immeritus,  sino ad equiparare la lotta dello Stato contro la mafia ad una sorta di atroce genocidio: «Siamo stati perseguitati – continua il “Manifesto”- come fossimo canaglie, trattati come se non fossimo della razza umana, siamo diventati un'etnia da cancellare».

Poi strizza l’occhio all’indipendentismo siciliano, quasi a farsi paladino delle istanze autonomiste: «Eppure siamo figli di questa terra di Sicilia, stanchi di essere sopraffatti da uno Stato, prima piemontese e poi romano che non riconosciamo, siamo siciliani e tali volevamo restare». Nella casa si via Alberto Mario, campeggia a bella vista un ritratto del boss, con una corona regale, come a dire: sono io il re di Sicilia.  

Il padrino punta il dito accusatorio contro la “grande bugia”, architettata dall'antimafia: «Hanno costruito una grande bugia per il popolo, noi il male loro il bene. Hanno affamato la nostra terra con questa bugia». È il totale ribaltamento della realtà, in una allucinata visione paranoica, in cui il “bene” è Cosa Nostra e il “male “ è lo Stato, che affama il popolo.

È il mito paternalistico della mafia che sistema la gente e dà lavoro” e si oppone ad uno Stato rapace avvoltoio. Non lo sfiora nessun sospetto di che lacrime grondino e di che sangue le mani di Cosa Nostra, né che essa sia un pesante fardello, che soffoca, ostacola e impedisce il pieno dispiegarsi  della attività economiche dell’Isola.  

Quindi la conclusione consolatoria e profetica, in cui Matteo Messina Denaro si dice convinto che il tempo è galantuomo e che la storia darà ragione ai martiri di Cosa Nostra: «Ogni volta che c’è un nuovo arresto si allarga l’albo degli uomini e delle donne che soffrono per questa terra, si entra a far parte di una comunità che dimostra di non lasciar passare l’insulto, l’infamia, l’oppressione e la violenza. Questo siamo e un giorno, ne sono convinto, tutto ciò sarà riconosciuto e la storia ci restituirà quello che ci hanno tolto in vita».

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