Pubblicato il 24/03/2017
CULTURA / LIBRI

“Non c’è più la Sicilia di una volta”: la Sicilia fuori dal cliché del déjà-vu di Savatteri



La Sicilia è cambiata e non si può più leggerla con gli occhi dei grandi autori del passato: «Sarebbe – dichiara Savatteri – come voler usare una guida turistica di 50 anni fa per orientarsi nella Sicilia di oggi»
di Giacomo Belvedere

“Non c’è più la Sicilia di una volta”. Può intendersi come un’espressione di malinconica nostalgia; o come un’esternazione di liberante sollievo. Per Gaetano Savatteri, giornalista e scrittore siciliano, l’esclamazione è piuttosto dettata da un senso di “insofferenza: «Non se ne può più – spiega ai nostri mocrofoni – di continuare a sentire la Sicilia descritta attraverso grandi autori del passato, penso a Tomasi di Lampedusa, Pirandello, quasi che la Sicilia sia l’unico posto che non cambia mai».

L’autore ha presentato il suo libro Non c’è più la Sicilia di una volta ieri, in occasione della rassegna “Scrittori strettamente sorvegliati”, promossa con lusinghierio successo di pubblico dalla Libreria Dovilio di Caltagirone.

«Non ne posso più di Verga, di Pirandello, di Tomasi di Lampedusa, di Sciascia» – scrive Savatteri – nelle prime pagine del libro, quasi a voler mettere sull’avviso il lettore. «Non ne posso più di vinti; di uno, nessuno e centomila; di gattopardi; di uomini, mezz’uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraquà. E sono stanco di Godfather, prima e seconda parte, di Sedotta e abbandonata, di Divorzio all’italiana, di marescialli sudati e baroni in lino bianco. Non ne posso più della Sicilia. Non quella reale, ché ancora mi piace percorrerla con la stessa frenesia che afferrava Vincenzo Consolo ad ogni suo ritorno. Non ne posso più della Sicilia immaginaria, costruita e ricostruita dai libri, dai film, dalla fotografia in bianco e nero. Oggi c’è una Sicilia diversa. Basta solo raccontarla».

Savatteri spiega con una colorita metafora perché i grandi autori della letteratura siciliana non ci aiutano più a capire la Sicilia di oggi: «Sarebbe come voler usare una guida turistica di 50 anni fa per orientarsi nella Sicilia di oggi», che nel frattempo ne ha fatta di strada: «Invece della patria del machismo – scrive nel libro – conosceremo il luogo in cui è nata la prima grande associazione in difesa dei diritti degli omosessuali. Al posto delle baronesse troveremo una generazione di donne manager e imprenditrici. E ancora, incontreremo un panorama letterario, musicale, teatrale tra i più vivaci di oggi. Con buona pace del Gattopardo, non è vero che in Sicilia tutto cambia perché tutto rimanga com’è: sull’isola, negli ultimi anni, quasi tutto è cambiato».

Nemmeno la visione mafiocentrica dell’isola è la lente per comprendere appieno la sua complessità. Secondo Savatteri, fino al 1992, l’anno delle stragi di Capaci e via D’Amelio, la Sicilia era dominata ossessivamente dal tema della mafia«Una delle responsabilità della mafia – afferma provocatoriamente l’autore nell’intervista – è son solo quella di aver commesso delitti, di aver soppresso, prevaricato le libertà democratiche e di mercato, ma anche di aver impedito che si potesse raccontare della Sicilia nulla che non fosse mafia e antimafia».

Savatteri non auspica certo il ritorno al tempo in cui di mafia non si parlava e anche gli scrittori siciliani si votavano dall’altra parte. Con pochissime isolate eccezioni. Pochi sanno che, il 23 febbraio 1900, don Luigi Sturzo scrisse e rappresentò al teatro “Silvio Pellico” da lui fondato, prendendo in affitto i locali del teatrino del barone Passanisi, un dramma in 5 atti, La Mafia, che non si segnala certo per originalità di trama o per costruzione linguistica, ma conserva intatta tutta la sua forza d’urto, se non altro per aver chiamato la mafia col suo nome: e non era certo di poco conto denunciare, nel 1900 e in una piccola città siciliana, la corruzione politica e le aperte connivenze tra la mafia e gli apparati dello Stato. Il testo fu rappresentato tre volte a Caltagirone, destando allarme nella classe politica locale, che si vide messa sotto accusa. Ma si trattò di un episodio isolato che non scalfì la consegna dell’omertà. 

Fu Sciascia a rompere un tabu con Il giorno della civetta. Una pietra miliare nella letteratuta siciliana, che tuttavia, secondo Savatteri, rispecchia una realtà ormai superata. L’autore riconosce a Camilleri,autore amatissimo dai lettori di tutto il mondo, e forse anche per questo snobbato da parte della critica, «il merito di aver creato un mondo, quello di Vigata, dove c’è un commissario siciliano che fa le indagini e trova i colpevoli. Noi eravamo abituati a capitani, come il  capitano Bellodi del Giorno della civetta, che veniva dal Nord, trovava i colpevoli e non li poteva arrestare». Proprio perché oggi in Sicilia si può parlare di mafia, si può anche parlare di altro. Benvenuti nella Sicilia del 2000. 

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