Pubblicato il 13/10/2017
CULTURA / LIBRI
Ph: Il Sette e Mezzo

L’“odi et amo” di Buttafuoco per la sua “Strabuttanissima Sicilia” – VIDEO



Il libro è stato presentato a Caltagirone giovedì 12 ottobre, presso il palazzo Marziani, in piazza Marconi, davanti a un’affollata platea, nell’ambito della rassegna “Scrittori strettamente sorvegliati” promossa dalla libreria Dovilio
di Giacomo Belvedere

Una tragedia, che si fa farsa, melodramma. Il che, piuttosto che attenuare la tragedia, la rende semmai ancor più insopportabilmente drammatica. Senza riscatto alcuno. È il ritratto della Sicilia che esce dall’ultima fatica di Pietrangelo Buttafuoco Strabuttanissima Sicilia, che fa il paio, rincarando la dose, col precedente Buttanissima Sicilia. “Chiù scuru ri menzanotti nun po fari”, recita un antico adagio siciliano. Ma, per Buttafuoco, la Sicilia sconfessa l’antico proverbio: c’è un buio più pesto di quello di mezzanotte. Perché, spiega l’incipit del libro,  “il successore di Rosario Crocetta – il più incredibile tra i politici del pittoresco meriodione – non potrà che fare peggio del proprio predecessore”. La maledizione di Tomasi di Lampedusa incombe ancora. E dunque, se Buttanissima Sicilia stroncava storia della Trinachia, dall’autonomia a Crocetta, definendola “tutta una rovina”; con Strabuttanissima Sicilial’autore alza la posta e rilancia la sua sfida: “quale altra rovina dopo Crocetta?”.

Il libro è stato presentato giovedì  12 ottobre, presso il palazzo Marziani, in piazza Marconi, davanti a un’affollata platea, nell’ambito della rassegna “Scrittori strettamente sorvegliati” promossa dalla libreria Dovilio. A far da spalla all’autore Antonio Condorelli, penna del «Fatto Quotidiano» e coordinatore della redazione etnea di «Live Sicilia», che, a dire il vero, non fa fatica a dare fuoco alle polveri ad uno scatenato Buttafuoco, che – nomen omen – scarica fuoco e fiamme, senza risparmiare niente e nessuno.

L’autore sta conducendo per le città dell’isola – più che un’isola “un continente, un labirinto dalle variabili infinite” –  un’estenuante campagna “lettorale”, scritta così, con l’aferesi della “e” iniziale, a sottolineare un distinguo infastidito ed esibito provocatoriamente “contro la campagna elettorale che confermerà – purtroppo – chiunque vinca, l’impossibilità di governare la Sicilia”. Uno strizzare l’occhio furbescamente all’antipolitica qualunquistica? Piuttosto l’insopprimibile fiducia che leggere sia oggi l’unico atto davvero rivoluzionario nel Regno dell’Ignoranza, assurta a sapienza onnisciente a furia di like.

Buttafuoco si accalora, si agita, snocciola un rosario infinito di episodi da tragedia greca finiti in farsa, la  banalità del male siciliano. Sfila tutto il circo delle pantomime di una classe politica abbarbicata al potere, costi quel che costi. Una foga oratoria che si ritrova intatta nel libro, che, per così dire, si ascolta più che leggere, inseguendo la sfilza di fuochi d’artificio, di scudisciate che non lasciano respiro al lettore, che incalzano, insaporite da giocose invenzioni linguistiche. Un canto d’amore al vetriolo: trasuda dalle pagine un odi et amo appassionato e viscerale per la sua Sicilia, bella e impossibile.

Su tutti, il posto d’onore spetta a Rosario Crocetta, passato secondo l’autore, con nonchalance, dall’impostura dell’antimafia a paladino della lotta contro l’omofobia; dall’antiamericanismo della lotta contro il Muos, in nome del quale ha chiesto e ottenuto i voti degli elettori, a leader osannato oltreoceano come il nuovo che avanza. Su tutti un episodio che dovrebbe lacerare le coscienze, eppure, dimenticato presto: le dimissioni dell’assessore Lucia Borsellino, messa in giunta per piantare la bandierina dell’antimafia, con quel cognome evocativo e altisonante; ma scaricata senza nemmemno un grazie di facciata nel momento in cui, in nome di quella eredità pesante, la giovane pupilla fa sul serio e vuol vederci chiaro sulla sanità siciliana. Il suo cognome allora diventa ingombrante e viene cancellato in un batter d’occhio. Resta, a risarcimento parziale l’orgogliosa e sofferta rivendicazione della propria storia familiare da parte del fratello Manfredi e il muto assordante abbraccio tra questi e il siciliano presidente Mattarella, nel gelo imbarazzato gli astanti. Una bomba che avrebbe fatto saltare il palazzo altrove, ma resa inoffensiva dalla nebbia dell’oblio. “Perchè noi siciliani dimentichiamo e passiamo oltre”, ripete come in un refrain ossessivo Buttafuoco.

Quanto resta dunque della notte? “Non vedo l’ora di essere smentito”, commenta Buttafuoco, ai nostri microfoni. Eppure, nonostante il buio ostinato, il suo pamphlet, dopo l’immaginifica, provocatoria e onirica – beffardamente l’autore non dice se sia un sogno o un incubo – resurrezione di Cuffaro, il “Totò che vinse due volte”, si chiude con un inno alla luce: “Fate incetta di luce” – scrive Buttafuoco nella postfazione. “Mettetevela anche in tasca”. “There is a crack in everything, that’s wow the light gets in”: è nelle crepe dell’anima che penetra la luce. Leonard Cohen dixit.

Testimone muto dell’arringa appassionata di Buttafuoco, in piazza Marconi, si erge una severa statua di don Luigi Sturzo, poco somigliante invero, che osserva in silenzio. Forse chiuso in un muto grazie all’oratore, per non aver indossato la facile giacca dello sturziano, moda perniciosa invalsa nella città della ceramica dopo la morte del grande statista calatino. Caltagirone, nel tour “lettorale” di Buttafuoco, è una tappa importante: è stata all’alba del XIX secolo uno straordinario laboratorio politico, grazie a quel  sacerdote col senso alto della laicità della politica, che osava mettere in scena nel teatrino “Silvio Pellico”, oggi Passanisi, il suo dramma “La mafia”, quando la parola era tabù specie per un uomo di chiesa, e bisognerà attendere anni per udirla rimbombare nella valle dei templi ad Agrigento per bocca di un pontefice venuto da lontano. Altro che antimafia di facciata o di comodo. Uomo libero e forte, dal carattere spigoloso, don Luigi, lontano anni luce dal santino buono per tutte le stagioni spacciato per ritratto autentico. Per questo e altro, per aver toccato interessi oscuri consolidati, don Luigi fu oggetto di attacchi feroci da parte dei suoi concittadini, tanto che, dopo l’esilo, non mise più piede nella città natale. La vulgata addomesticata e oleografica racconta che fu perché il suo debole cuore non avrebbe retto l’urto della commozione, alla vista del tetto natio. Forse il tempo è maturo perché qualcuno scriva, alla buon ora, la sua Strabuttanissima Caltagirone.

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