Pubblicato il 12/12/2021
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Covid, Caltagirone in zona arancione? Sì, grazie



La città di Caltagirone si è “salvata”zona arancione, che invece è stata assegnata ai Comuni di Militello in Val di Catania e di San Michele di Ganzaria,  per l'alto numero di vaccinati con seconda dose (l’84,82%, che colloca la città in testa nel Calatino e sta limitando i ricoveri ospedalieri). Ma forse è più esatto affermare che la zona arancione salverebbe Caltagirone e consentirebbe di guardare al Natale che viene con più serenità.


di Giacomo Belvedere

La città di Caltagirone non è stata inserita in zona arancione, che invece, nel Calatino, è stata assegnata ai Comuni di Militello in Val di Catania e di San Michele di Ganzaria, perché non supera tutte le soglie critiche necessarie per l’assegnazione del colore arancione. Valgono, infatti, alcuni parametri: si tengono in considerazione l’incidenza dei casi settimanali per ogni 100 abitanti (50 casi per restare in zona bianca); il tasso di occupazione dei posti letto in area medica non critica (soglia 15%); e quello di occupazione nelle terapie intensive (soglia 10%). Ma un altro indice da tener presente è la percentuale di vaccinati con seconda dose. Sono parametri che vanno considerati nell’insieme delle loro correlazioni (non è sufficiente superare una soglia critica per passare a una zona di allerta più alto).


Nella città della ceramica gli attualmente positivi, alla data del 10 dicembre 2021, erano 385, vale a dire 32 in più di quelli avutisi lo scorso 6 dicembre e l'incidenza settimanale è di 472,63 casi ogni 100 mila abitanti, con un incremento di +169 casi in una settimana. I ricoverati sono cinque. Il 10 dicembre si è avuto anche un decesso. Dunque il parametro sforato di molto è quello dell’incidenza, per il quale la zona arancione sarebbe ampiamente giustificata. Ma per ora “salva” Caltagirone dalla zona arancione l'alto numero di vaccinati con seconda dose (l’84,82%, che colloca la città in testa nel Calatino), dato che spiega anche la bassa percentuale di ricoverati, ben al di sotto della soglia critica. Qualcuno ha la memoria corta, ma quando il “Gravina” fu riadattato a centro Covid, e non si aveva lo scudo vaccinale, i ricoveri raggiunsero la saturazione dei posti disponibili (41) e la città pianse una ventina di morti.


La città di Caltagirone si è dunque  “salvata” dalla zona arancione. Ma forse, a ben vedere è più esatto affermare che la zona arancione salverebbe Caltagirone. Lo sa bene il sindaco Roccuzzo, che ha avanzato all’assessore regionale all’Istruzione Lagalla la richiesta di svolgere le attività didattiche negli istituti scolastici cittadini a distanza e si è sentito rispondere un secco no, perché, secondo la normativa vigente, senza zona arancione, non sussisterebbero le condizioni per autorizzare la Dad.

La risposta negativa dell’assessore regionale all’Istruzione, ineccepibile sul piano della norma, è frutto  tuttavia ad un’applicazione pedissequa della norma stessa. Le norme, specie in tempi emergenziali, non vanno solo applicate, ma interpretate alla luce della realtà. Occorre, infatti, tener presente non solo l’applicazione meccanica dei parametri (per i quali come si è detto Caltagirone resta inequivocabilmente in zona bianca), ma la situazione reale del contagio.


Ora, un parametro scientifico che occorrerebbe tenere presente – e che si ignora totalmente – per valutare se a Caltagirone ci siano le condizioni per la Dad, è l’incidenza dei casi di Covid nella fascia di età dai 5 ai 13 anni. La richiesta del sindaco caltagironese, sollecitata dalla comunità scolastica, ha infatti le sue buone ragioni: in città il contagio viaggia – secondo un trend comune a tutta la Sicilia - a velocità doppia nella popolazione scolastica delle elementari e delle medie, che - e questo va tenuto in debita considerazione – non  è ancora vaccinata.

Il parametro dell’84% dei vaccinati con seconda dose è dunque insufficiente: si riferisce, infatti, alla popolazione attualmente vaccinabile, vale a dire quella che va dai 12 anni in su. Ma non tiene conto della fascia dei giovanissimi, che sono privi dello scudo vaccinale e che rappresentano il fianco scoperto attraverso cui il coronavirus sta colpendo duramente la città della ceramica.


Un bambino o un ragazzo positivo, automaticamente porta il contagio a casa, anche perché è assai difficile che, data la giovanissima età, possa stare in isolamento rigido per più di 20 giorni. E dunque contagia i genitori e familiari, anche nel caso che questi ultimi fossero vaccinati, dato che il vaccino, dopo 5 mesi, riduce la copertura dal contagio a meno del 40% (anche se protegge dai ricoveri in ospedale). È vero che il richiamo riporta la copertura a più del 90%, ma sono ancora pochi i caltagironesi con terza dose. Il coronavirus si serve dunque dei bambini come un cavallo di Troia per penetrare dentro le famiglie.


Questo è il dato incontrovertibile da tener presente. Come fare per spezzare il circolo vizioso: bambino, contagiato da un compagno e che a sua volta contagia un compagno, che porta inoltre il contagio in famiglia? Non disponendo ancora dell’arma del vaccino per l’età 5-11 (disponibile a partire dal 16 dicembre), l’unica soluzione è limitare i contatti tra i bambini, frenando in tal modo la diffusione del virus. Questo è possibile soltanto applicando la tanto vituperata didattica a distanza. È possibile, dunque, applicare con intelligenza la norma, alla luce di tutti i parametri scientifici sulla situazione reale del contagio nella città della ceramica? O ci si deve appiattire su di un’interpretazione letterale e burocratica della stessa?


La realtà è sotto gli occhi di tutti: si va avanti con una didattica in presenza a singhiozzo; con classi che entrano ed escono dalla Dad a turno; con file interminabili di ragazzi, genitori, insegnanti e personale della scuola, che si sottopongono ogni giorno a tamponi di controllo al drive-in; con intere famiglie in quarantena forzata; e con i superstiti di questo stillicidio, costretti a convivere a scuola, in presenza, ma con la paura di essere le prossime vittime nel mirino del  Covid. Un clima di disagio e incertezza che non fa bene alla città. Tanto è vero che sono molti i genitori che non mandano più i figli scuola per timore del contagio. Senza contare i ritmi stressanti a cui sono sottoposte le strutture sanitarie di controllo e tracciamento, costrette a tour de force h. 24. Questa è la realtà, di cui la norma, insufficiente e lacunosa, non tiene affatto conto. È questo il clima sereno di socializzazione che vogliamo garantire ai nostri figli con il mito della didattica in presenza ad ogni costo?


Quanto alle facili obiezioni di chi afferma che la zona arancione penalizzerebbe le attività economiche proprio nel periodo prenatalizio, è presto detto: per chi ha il super green pass (vale a dire l’84% dei vaccinati con seconda dose), in zona arancione non cambia sostanzialmente nulla. Solo l’obbligo di mascherina anche all’aperto. Le restrizioni ci sarebbero solo per chi ha il cosiddetto green pass - base, vale a dire quello ottenuto con un tampone negativo e valido solo 48 ore.

Per questo non è esatto affermare che Caltagirone si è salvata dalla zona arancione: è vero il contrario, la zona arancione salverebbe Caltagirone e con la Dad porrebbe un freno alla spirale del contagio tra i bambini e i ragazzi nelle scuole e nelle famiglie, consentendo a tutti i caltagironesi di guardare al Natale che viene con più serenità.

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