Pubblicato il 19/05/2017
INCHIESTA

Cara, dolce Cara - 2. Il Cara prima del Cara




Durante l'audizione in Commissione parlamentare d’inchiesta sui Cie e i Cara, del 17 dicembre 2015, il presidente Migliore chiede perché il centro «doveva essere per forza nella provincia di Catania». In realtà un anno prima dell'emergenza umanitaria del 2011 c'era chi stava pianificando un centro per migranti nel Residence degli Aranci della Pizzarotti

 di Giacomo Belvedere

DOSSIER [qui prima parte e terza parte] - Il dubbio sulle possibili ingerenze del Viminale nell’affaire Cara, viene anche al Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sui Cie e i Cara, Gennaro Migliore, che, nell’audizione del 17 dicembre 2015, ripetutamene chiede al prefetto Rosetta Scotto Lavina (dal 1° settembre 2012 Direttore Centrale dei Servizi Civili per l’Immigrazione e l’Asilo e dal 15 settembre 2014 Direttore Centrale per le Politiche  dell'immigrazione e dell'asilo), e a Francesca Cannizzo, ex prefetto di Catania e di Palermo  (oggi indagata a Palermo nell’inchiesta “Saguto”), se avessero ricevuto pressioni dal Ministero dell’Interno sul Cara di Mineo. Perché al Presidente non tornano alcuni conti: perché - si chiede - il centro «doveva essere per forza nella provincia di Catania – visto che, peraltro, la gestione del flusso dell'accoglienza è nazionale e che, comunque, c'era tutta la Sicilia per definire una modalità d'accoglienza?». E ancora: «perché doveva permanere la struttura di 3.000 posti», sia quando, come nel 2012 ci furono solo 16.000 sbarchi, sia quando ce ne furono 170.000, come nel 2014? «Ma il Cara di Mineo – commenta Migliore - era sempre pieno. La questione è che il Cara di Mineo è l'unica struttura che ha avuto sempre dei regimi di pieno in qualsiasi condizione». Inoltre, «perché non si è fatta una gara per reperire tre immobili da 1.000 posti?? Perché l'unica richiesta, nelle due opzioni poste, riguardava il fatto che ci doveva essere un centro da 3.000 e non 3 centri da 1.000, oppure 6 centri da 500, oppure 2 centri da 1.500 o ancora uno da 2.500 e uno da 500?». Domande lecite, quasi ovvie, eppure, come abbiamo visto nella prima puntata, pochi se le posero.


ph. Andrea Annaloro

IL CARA PRIMA DEL CARA - Per rispondere alle domande del Presidente della Commissione, occorre fare un passo indietro e rinfrescare la memoria a chi l'avesse nel frattempo perduta. Perchè, come rivelò la nostra testata, c'è un Cara prima del Cara. Ed è certo che il Cara di Mineo non nacque come un fungo per germinazione spontanea. Siamo agli albori del 2011: il 12 febbraio viene dichiarato lo stato di emergenza per i flussi migratori provenienti dalle coste africane, a seguito delle "primavere arabe". Il 14 febbraio 2011, l’allora ministro dell’Interno, Roberto Maroni, e il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, effettuano un sopralluogo al “Residence degli Aranci”, di proprietà della ditta Pizzarotti di Parma, ubicato in contrada Cucinella in territorio di Mineo, e composto da 403 villette, destinate una volta ai militari statunitensi di stanza a Sigonella. Ed è amore a prima vista:  il residence è scelto immediatamente come il luogo più idoneo ad ospitare quello che sarebbe diventato il “Villaggio della Solidarietà” - Cara di Mineo. Nelle loro intenzioni il centro sarebbe dovuto essere un modello di accoglienza, integrazione e ospitalità in Europa. L'immobile è dell’impresa Pizzarotti, che percepiva dagli americani come canone d'affitto 8 milioni e mezzo di dollari, più le spese per la gestione dei servizi all’interno del villaggio. Un introito che viene improvvisamente a mancare e difficilmente rimpiazzabile: data l’allocazione della struttura, lontana dal centro abitato di Mineo, era assai improbabile che si riuscisse a affittare le singole villette a privati. L’idea di Berlusconi e Maroni di trasformare l’ex Residence degli aranci nel Centro d’Accoglienza per Richiedenti Asilo cade dunque come una manna dal cielo per la Pizzarotti, che riceve come indennizzo per l'immobile requisito sei milioni di euro annui. Tuttavia sbaglierebbe chi pensa che il Cara di Mineo nasca dal nulla, il giorno di San Valentino del 2011, grazie a un’intuizione improvvisa di Silvio Berlusconi. Quello che in apparenza sembra un colpo di fulmine è in realtà frutto di un lungo corteggiamento risalente all’anno prima, quando ancora i marines non avevano lasciato la struttura. E i protagonisti di tale vicenda sono gli stessi che negli anni avvenire decideranno le sorti del Cara di Mineo.

Bisogna spulciare tra la cronaca anonima di incontri o convegni in apparenza tecnici e di settore, a cui di solito riservi un trafiletto. Ma è  lì che germina il Cara menenino. Il 10 settembre 2010, presso i locali della provincia regionale di Catania, si tiene un incontro programmatico sulle attività del “Patto Territoriale dell’Economia Sociale del Calatino”. Presenti all’incontro i rappresentanti dei comuni aderenti, della Provincia Regionale di Catania, dell’Asp 3 di Catania e del Consorzio Sol.Calatino s.c.s. Si decide il varo della Fondazione di Comunità  del  Calatino “Don Luigi Sturzo”, con l’obiettivo di dare vita ad attività  nel campo della solidarietà sociale, della beneficenza, della pubblica utilità e del no profit. Degno di nota è che tra i sostenitori dell’impresa ci sia anche la Pizzarotti Spa che – si legge nel comunicato stampa – «insieme alla costituenda fondazione di Comunità lavorerà alla rifunzionalizzazione per fini sociali  del Residence degli Aranci di Mineo che attualmente ospita i militari Americani». Cronaca di un Cara annunciato?


Il varo del Patto terrritoriale il 2 agosto 2011 – ph. web

Ma cos’è il “Patto Territoriale dell’Economia Sociale del Calatino”? Il patto viene sottoscritto in un’assolata mattina del 2 agosto 2010, presso il centro direzionale della Provincia Regionale di Catania, alla presenza dell’ On. Giuseppe Castiglione – Presidente dell’ U.P.I. e della Provincia Regionale di Catania. Si tratta di un protocollo di intesa, promosso dal Consorzio Sol.Calatino, che del Patto diventa ente capofila, a cui aderiscono i comuni del Calatino sud Simeto (inizialmente nove: Licodia Eubea, Mazzarrone, Militello in Val di Catania, Mineo, Mirabella Imbaccari, San Cono, San Michele di Ganzaria, Scordia e Vizzini, ai quali si aggiungerà il Comune di Grammichele), la Provincia regionale di Catania, l’Asp 3 di Catania, la Cciaa di Catania, l’Ircac. Col senno di poi, inevitabile leggervi la protostoria del futuro Consorzio dei Comuni. Il Cara ancora non c'è eppure c'è chi scalda i motori. La storia di poi era già scritta prima.

Inaugurato  il Cara, nel 2011, in ballo c'è l'aggiudicazione del primo appalto per la gestione dei servizi.  Dopo la fase emergenziale, difatti, affidata alla Croce Rossa, senza l’indizione di un bando ad evidenza pubblica, in vista della cessazione dell’incarico, prevista inizialmente per il 30 giugno, c’è già chi scalpita.

UN FINALE GIÀ SCRITTO? - Il 3 marzo 2011 Paolo Ragusa scrive a tutti gli amministratori locali chiedendo ai sindaci del territorio di «accettare la sfida dell’istituzione di un Centro accoglienza richiedenti asilo per fare del “Residence della Solidarietà” di Mineo un modello europeo di eccellenza dell’accoglienza e della integrazione sociale». In una nota del 28 marzo 2011, Ragusa lancia la sua proposta: «collegare l’iniziativa del Cara di Mineo al “Patto territoriale dell’economia sociale del Calatino Sud –Simeto”». Se non è una candidatura alla partecipazione alla gestione del Cara di Mineo, poco ci manca. Idea ribadita in una lettera aperta del 7 luglio al nuovo soggetto attuatore, Giuseppe Castiglione, in occasione della sua nomina (il 28 giugno 2011), e al convegno organizzato da Sol.Calatino, il 16 maggio 2011 presso i locali della provincia di Catania, su “Bisogno di protezione: strumenti stabili di supporto alle emergenze”: si attivino - sollecita Ragusa - con urgenza a Mineo tutte le attività precipue di un Cara, «di cui il “Patto territoriale dell’economia sociale del Calatino Sud-Simeto” si pone come presenza indispensabile».


Convegno maggio 2011

Sia dovuto a fiuto, sia a semplice fortuna o ad arti divinatorie, c'è dunque chi non si  fa trovare impreparato all'appuntamento. Le tessere del puzzle, la provincia di Catania, Sol.Calatino, la Pizzarotti, i comuni del Calatino, sono già quasi tutte al loro posto, come s'è visto, già un anno prima. Mancano solo il potente consorzio Sisifo, che gestisce il Cara di Foggia e i Cpsa di Lampedusa e Cagliari e che dell’Ati diviene il capofila, e la coop bianca La Cascina Global Service, un colosso della ristorazione che fattura 150 milioni di euro annui, legata a Comunione e Liberazione e all’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e di San Trifone, una delle cooperative capitoline maggiormente attive ed influenti nel settore del sociale. Dalle carte romane, emerge che fu Odevaine che tenne a battesimo l'alleanza tra coop rosse e coop bianche, che fu il nerbo di quell’invincibile armata che sbaraglierà la concorrenza nelle tre gare d’appalto, e passerà indenne le forche caudine dei ricorsi al Tar e dei pareri richiesti all’Autorità nazionale anticorruzione.

Odevaine sbarca in Sicilia e, secondo le intercettazioni dei Ros ha un incontro con Castiglione e un misterioso personaggio - poi rivelatosi essere Salvo Calì, presidente del consorzio Sisifo - che avrebbe dovuto vincere la gara. Bisognava dar conto ai “siciliani”, Sisifo e Sol Calatino, ma Odevaine propose di allargare l’affare alla Cascina, perché «se non se fa una roba che c’abbia una sua professionalità rischiamo un disastro». La “roba” fatta con professionalità sarebbe quella di «creare un gruppo forte (…) che sta roba qua vince». Il suo piano è chiaro: «Castiglione – afferma – si è avvicinato molto a Comunione e Liberazione, insieme ad Alfano, e adesso CL di fatto sostiene strutturalmente tutta questa roba di Alfano e del centrodestra (…) sono tra i principali finanziatori di tutta questa roba […], io li ho messi insieme, e si è strutturata questa roba, dopodiché abbiamo fatto questa cosa di Mineo». Una sorta di replica in salsa siciliana, del patto di ferro tra coop bianche e rosse che si spartivano al 50% gli affari nella capitale. «La decisione – si legge nei verbali del 7 luglio 2015 – fu presa congiuntamente da Paolo Ragusa, da Castiglione, da me e da Giovanni Ferrera, il quale era anche il responsabile del procedimento»..

Un patto d'acciaio che si è dimostrato tetragono ai colpi di fortuna e ha retto indenne  sino all'esplosione imprevista di Mafia Capitale, che ha dato un deciso scossone a  un sistema, sino ad allora, invulnerabile. Eppure, ancora, il "sistema Cara" non è crollato e, in sordina, è ancora là, in contrada Cucinella.

Continua...

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