Pubblicato il 23/12/2017
RELIGIONE / DIOCESI

Natale 2017, mons. Peri: “Il Bambino è segno universale della vita che nasce”




Quale il senso del Natale? Quali risposte dare a una comunità ferita dagli omicidi efferati di dicembre? Quali a chi ha smarrito il senso della cristiana solidarietà? Ha senso la polemica sul presepe? Il vescovo calatino non si sottrae alle domande scomode e annuncia la prossima apertura di un Emporio dei poveri alla Città dei Ragazzi di Caltagirone, perché “dar da mangiare ai poveri non è una concessione, ma un loro diritto”.


 di Giacomo Belvedere


“Vorrei che in questo Natale percorressimo la via della dell’intimità, della semplicità, dell’umiltà, come metodo per risolvere i problemi. È in fondo il messaggio più profondo del Natale. Vorrei che la salvezza del mondo non partisse dagli armamenti, che questo Natale non fosse scenario di una prova dei muscoli tra chi è il più potente, Trump o Pyongyang, tra chi lancia il missile più potente o più lontano, ma che la soluzione sia sapere che il mondo si salva con la debolezza di un bambino, con la fragilità di un Salvatore, che per salvare il mondo ha bisogno Lui di essere salvato, impegnando gli altri a prendersene cura. Un Natale in cui per davvero tutti ci dobbiamo prendere cura degli altri, della stessa natura, della casa comune, come ci dice Papa Francesco.

Allora saremo entrati nello spirito del Natale, altrimenti restiamo nella scorza del Natale, là dove la luce, che che Dio porta per illuminare ogni uomo, non è più la luce che illumina l’uomo, ma è semplicemente quella delle luminarie che illuminamo le nostre città, che ci fanno sentire un tantino più romantici per il clima che si crea. Ma alla fine del Natale sappiamo che gli alberi andranno a finire nei cassonetti, le luci verranno riposte negli scatoli. E noi continueremo a brancolare nel buio”.

Parole forti, quelle che il vescovo di Caltagirone, mons. Calogero Peri ci ha consegnato durante il tradizionale incontro per lo scambio di auguri natalizi con la stampa, che si è svolto venerdì 22 dicembre nel parlatoio del Seminario vescovile di Caltagirone.

Un incontro niente affatto formale: mons. Peri ha calato il tema del Natale nella realtà di un territorio ferito dagli omicidi efferati che lo hanno insanguinato; dove arrivano i venti gelidi dell’egoismo e della xenofobia che soffiano sull’Italia, che rischiano di far smarrire il senso della cristiana solidarietà. E dove anche la polemica sul presepe appare pretestuosa. Il vescovo calatino non si sottrae alle domande scomode e annuncia la prossima apertura di un Emporio dei poveri alla Città dei Ragazzi di Caltagirone, perché “dar da mangiare ai poveri non è una concessione, ma un loro diritto”.

INTERVISTA

Quali parole sente di dire a una comunità ferita da due efferati delitti, che hanno avuto, in questo mese di dicembre dedicato al Natale, come scenario Caltagirone e Ramacca?

“Mi chiedo: si tratta di casi isolati, di persone squilibrate – e dunque vanno inquadrate in questo squilibrio, di uno che è sotto l’effetto della droga -, oppure sono il frutto del deterioramento del tessuto sociale, in cui i valori si vanno perdendo ed altri antivalori vanno acquistando forza? Questo è il risultato, la punta di un iceberg, di un malessere più profondo? In questo caso, evidentemente, la diagnosi è più drammatica e le soluzioni sono anche più problematiche. Non penso che si possa dire né che siano soltanto il frutto della persona isolata, né del tutto il frutto di un deterioramento così vistoso del nostro convivere. Però mi rendo conto che normalmente chi fa gesti folli, insani, assurdi – per esempio l’ultimo caso accaduto a Ramacca -, non nasce dal nulla: nasce da un abitudine, nasce da un modo di essere, di comportarsi. Il che significa che dobbiamo stare molto attenti, perché avere individuato il colpevole, l’aver detto che è assurdo quello che ha fatto, non risolve il problema. Come mai questa società genera persone, che anche isolatamente arrivano a questo? Questo è il vero dramma. Penso che il nostro territorio del Calatino abbia ancora delle risorse, abbia ancora una risposta corale da poter dare, però non possiamo e non dobbiamo perdere tempo, perché altrimenti rischiamo veramente di non riuscire più a controllare questa deriva”.

Quale risposta si attende dal territorio?

“Voglio fare appello a tutti i soggetti educativi, perché per davvero ci sia questa riscossa dell’educazione. Quando dico riscossa dell’educazione signifca ripresa di alcuni valori, di alcuni rapporti, di alcune relazioni. Una volta gli alunni all’arrivo del professore si alzavano, gli chiedevano scusa, e così via: non voglio un ritorno a questo. Però che i ragazzi abbiano sempre ragione contro i genitori, contro gli educatori, che questi ragazzi non non abbiano chiara la distinzione tra il sì e il no, per cui il no poi diventa un sì o un ni: è chiaro che questo a lungo andare forma delle coscienze in cui non c’è uno spartiacque chiaro, tra ciò che si fa e ciò che non si fa, tra bene e male, tra valore e antivalore, tra vita e morte. Aggiungiamo anche che i nostri ragazzi hanno perso – e non per colpa loro ma dei mezzi che abbiamo a disposizione – il valore della irripetibilità delle cose, dell’irreversibilità del tempo, perché oggi i mezzi ti permettono di rivedere un film tante volte, di rivedere un gol, un’azione infinite volte: ma la vita, quando hai ucciso, non torna indietro. È qui che l’educazione si deve scommettere: la chiesa, la scuola, la società, la famiglia, devono maggiormente utilizzare il loro tempo, lo voglio dire con una boutade, non davanti al telefonino, alle tastiere, ma devono tentare di educare i propri figli nel rapporto personale con cui valori si trasmettono”.

Il sindaco di Como  ha emesso un’ordinanza in cui si vieta di assistere i clochard. Si è smarrito il senso della solidarietà cristiana?

“C’è oggi un disagio, e non più delle persone ma di continenti interi, del mondo, gente che è affamata, assetata. Quando la risposta è il trincerarsi, pensare semplicemente al benessere e non rendersi conto che siamo in un tempo di emergenza, in cui è urgente prendersi cura dell’uomo perché uomo,  allora è chiaro che alcuni valori si sono persi. Ci scandalizziamo se qualcuno non dà da mangiare al suo cane, e insorgiamo giustamente perché il Salmo dice “uomini e bestie tu salvi, Signore”, ma non deve accadere che non riusciamo più a salvare l’uomo, non riusciamo più a interessarsi di lui. O – peggio – pensiamo che la soluzione sia quella di costringerlo a mettersi da parte, ancora più emarginato di quanto non sia”.

La carità è non dunque un optional per i cristiani? 

“Che questa nostra società abbia tanti poveri non è semplicemente un problema, è un esame di coscienza, una colpevolezza che dobbiamo addossarci, perché il nostro mondo che si dice civile, ma dove ancora ci sono tanti milioni di persone che muoiono di fame, non può avere un livello di civiltà di cui ci possiamo vantare. Poi, evidentemente, oggi che tutto è diventato scoop, tutto è diventato ricerca del consenso mediatico, ci rendiamo conto che stiamo giustificando qualsiasi comportamento? Va detto con molta chiarezza che ciò che è giusto è giusto, e ciò che non lo è non lo è. Dar da mangiare a qualcuno non è una concessione, è un diritto naturale e mi chiedo: chi, pur con tutto l’impegno della sua vita, non riesce a procurarsi il pane per sé e per gli altri, cosa deve fare? È di troppo nella nostra società? Queste domande penso ce le dobbiamo porre e non possiamo celebrare un Natale tranquillo fino a quando non abbiamo trovato una risposta soddisfacente”.

Quali le risposte offerte dalla comunità cristiana calatina?

“Oltre alla risposta normale, ordinaria, stiamo tentando di elaborare – e spero che nei prossimi mesi il progetto parta, perché è già deliberato e finanziato –  il sorgere di un Emporio per i poveri, laddove il povero non riceverà il classico sacchetto – anche questo gesto può essere di umiliazione, di discriminazione – ma dove avrà un supermercato, alla Città dei Ragazzi, fornito di beni di prima necessità e altre cose per la pulizia, per l’igiene personale, e avrà una tessera con dei punti, una card che gli permetterà di fare la spesa senza utilizzare soldi”.

Può spiegare meglio?

“I parroci della città di Caltagirone hanno deciso di mettere insieme la quota della Caritas diocesana (quella parte dell’8 per mille che viene destinato alla Caritas, e che la Caritas poi distribuisce alle parrocchie): sono  circa 30.000 euro. Alle parrocchie resterà il centro di ascolto, mentre l’azione più sistematica, più strutturata verrà fatta tutti insieme alla Città dei Ragazzi, dove ci sarà l’emporio. Questo permetterà di comprare all’ingrosso per risparmiare, di avere accordi con i commercianti per la frutta e così via. Con la tessera il valore delle cose non sarà calcolato in denaro ma sara calcolato in punti. Un modo più dignitoso di attuare la carità. Non è la panacea, ma l’ottimo è nemico del bene: noi vogliamo fare il bene possibile senza che la destra sappia cosa fa la sinistra o viceversa, ma nello stesso tempo dando delle risposte concrete. Oggi sappiamo che sul nostro territorio dobbiamo impegnarci strutturalmente per cambiare le cause della povertà. Ma dobbiamo impegnarci anche immediatamente per dare delle risposte. Devo dire che anche il comune ha messo in bilancio delle somme: questo fa ben sperare, perché c’è stato un periodo in cui l’assenza, per dissesto finanziario, dell’importo del comune per i poveri e i ceti più disagiati, aveva riversato totalmente il carico del disagio e della povertà soltanto sulle risposte che la comunità credente o altri centri riuscivano a dare”. 

Ogni anno si riaccende la polemica sul presepe a scuola. Cosa ne pensa?

“Specialmente quando si invoca il rispetto e la laicità, spesso c’è un falso concetto di laicità. Perché uno Stato laico non significa uno Stato che annulla la religiosità. Uno Stato è laico in quanto permette alle diverse forme di espressione della religiosità di esprimersi, di non essere discriminate. Vorrei ricordare a chiunque che la dimensione religiosa è una delle costanti antropologiche: non c’è gruppo organizzato il quale non si esprima in una forma religiosa. Volere che uno Stato laico appiattisca o annulli la religiosità significa andare contro l’uomo. C’è al fondamento un cattivo uso e senso della laicità dello Stato. L’altro elemento che non capisco, che mi sembra del tutto ideologico, è che questa contrapposizione la si impianti con il mondo islamico. Ma semplicemente è  frutto di una grande ignoranza. Perché per l’Islam Gesù Cristo è uno dei Profeti, un personaggio da venerare: non sarà per loro come Maometto ma è come se dicessero a me, che all’interno della Chiesa Cattolica qualcuno potrebbe essere offeso dal fatto che io sono francescano e ho un’attenzione per San Francesco che considero un santo. Quindi mi sembra per davvero frutto di ignoranza, frutto di ideologia. Fra l’altro, un vero dialogo interreligioso non si può fare senza una chiara identità. Il mondo islamico, e in generale il mondo orientale, rimprovera l’Occidente per questo vuoto di spiritualità, per il fatto che ci stiamo del tutto sbarazzando dell’elemento religioso. E tante volte ho sentito questa critica: o il Cristo che voi predicate non è una religione vera o non la sapete predicare”.

A chi dà dunque fastidio il presepe?

“Penso non possa far paura a nessuno, non possa turbare nessuno il segno di questo Bambino, perché è l’immagine di maggiore dolcezza e intimità che ci possa essere. È un segno universale della vita che nasce. Che poi per me abbia un valore divino, che per un altro ne abbia semplicemente uno umano, penso che si tratti semplicemente di livelli di attenzione ma non di due cose che confliggono. Ritengo veramente che questa sia una polemica senza fondamento, senza prospettive, senza senso, e che soltanto per motivi pretestuosi la si può impiantare o la si può sempre riproporre. Tanto, essendo vuota, non può che fare semplicemente rumore”.

GLI AUGURI DI MONS. PERI


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