
di Giacomo Belvedere
DOSSIER “CARISSIMO CARA” - 3. COME TI CONFEZIONO UNA BOMBA UMANITARIA [qui la prima e la seconda parte] - Cara double face. Per il direttore Maccarrone e la società consortile "Cara Mineo" (che raggruppa Sisifo, Cascina, Consorzio SolCalatino, Domus Caritatis, Senis Hospes) è «un fiore all'occhiello nell'accoglienza e soprattutto nell'integrazione». Per l’associazione Borderline Sicilia Onlus, la Rete Antirazzista Catanese e la sezione siciliana dell’Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione) «un laboratorio di politiche segregazioniste per il business del consorzio di cooperative che lo gestisce». Dopo la fine dell’emergenza umanitaria Nord Africa, i Cara sono stati chiusi, ad eccezione di quello di Lampedusa e di quello di Mineo. Per il centro di Mineo a febbraio si è raggiunto un accordo per prolungarne la vita fino a giugno (la copertura finanziaria arriva fino al 30 giugno), ma già si parla di un’ulteriore proroga fino a dicembre 2013. L’accordo prevede una riduzione dei costi: si è passati da un costo pro capite di circa 46 euro a persona al giorno, a cui si dovevano aggiungere i 6 milioni annui di "requisizione" dell'area a 35 euro a persona al giorno per un totale di 25,5 milioni l'anno. Il partito dei "Pro Cara" sostiene che il centro rappresenta una risorsa da non perdere per il territorio, col suo indotto di circa 700 mila euro al mese, fra stipendi dei 240 occupati e spese per beni e servizi. Nell’elenco dei pregi, i responsabili della struttura mettono la capacità di fornire 7.000 pasti al giorno. Questo il menu: pasta o riso tutti i giorni, 100 o 150 grammi “secondo il condimento”, un secondo di “carne rossa o bianca”, max 200 grammi, contorno di verdura, un frutto. E un litro di acqua minerale al giorno. Ad ogni ospite sono consegnati inoltre un paio di scarpe, un pigiama, quattro slip, due magliette, pantaloni, giaccone, coperte, lenzuola e kit igienico-sanitario. Sono poi garantiti i servizi di “assistenza generica alla persona”, la mediazione linguistica-culturale, l’informazione sulle norme italiane in tema d’immigrazione, il sostegno socio-psicologico, l’organizzazione del tempo libero e l’insegnamento della lingua italiana. Inoltre ogni ospite ha a disposizione un badge, chiamato pocket money del valore di 3,5 euro al giorno per l’acquisto nello spaccio interno al Cara di sigarette e schede telefoniche. Si tratta di una carta magnetica con nome, cognome e numero d’identificazione che vale anche per registrare ingressi e uscite dal campo e il consumo dei pasti in mensa. Dall’11 gennaio 2012 la carta può essere utilizzata anche come “ticket restaurant” per acquistare beni di consumo (alcolici e alimenti da cucinare esclusi) in una quarantina di supermarket di Mineo, Caltagirone, Grammichele e Catania. Benché ogni villetta sia fornita di cucina e barbecue esterno, è vietato prepararsi i pasti da soli, per “motivi di sicurezza”. Ma non di solo pane vive l’uomo. E Dante ci rammenta quanto possa essere umiliante provare «come sa di sale lo pane altrui». Questi aspetti antropologici del problema sembrano sfuggire del tutto alle analisi dei fautori del Cara. Il cibo, come il vestire, fa parte dell’identità più profonda di un individuo. Lo testimonia la straordinaria ricchezza terminologica con cui ogni cultura si sbizzarrisce nel designare le proprie tradizioni alimentari e culinarie. Che differiscono non solo da Stato a Stato, ma anche da regione a regione e persino da città a città. Il servizio mensa, indispensabile se si pensa in termini di permanenza di 20/30 giorni, così come stabilisce la normativa, diviene un’imposizione insopportabile ed è percepita come una forma di colonialismo culturale, di omologazione forzata, quando i tempi si allungano a uno e anche due anni. Le proteste e i malumori per la mensa sono i più frequenti fra i residenti nel centro menenino. Inoltre c’è da dire che gli ospiti lamentano disturbi alimentari provocati dalla scarsa qualità del cibo. Non è escluso che il cambiamento delle abitudini alimentari abbia provocato intolleranze. Al di là dei disturbi fisici, tuttavia, il problema è che il divieto assoluto di decidere cosa mangiare è sentito come una grave menomazione identitaria. Tanto più che in altri Cara è consentito cucinarsi il cibo da sé. E molti migranti disertano per questo la mensa. Durante l’incontro inter-etnico del 21 giugno scorso, un giovane maliano di 23 anni, cuoco, raccontava, con le lacrime agli occhi, del suo desiderio struggente di poter cucinare il pane con il miele, sua specialità. Il punto è che in questo gioiello dell’accoglienza, il ritardo colpevole delle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato, comporta per i migranti una deprivazione della propria identità e il confino in una condizione di minorità giuridica. Tenuti forzosamente in una condizione di sospensione del diritto, gli ospiti del Carta subiscono una vera spoliazione antropologica che fa nascere il sospetto che dietro ci sia un pregiudizio duro a morire sull’incapacità dei neri di autogovernarsi da soli. «Benché questi barbari non siano affatto pazzi […]; non sono più capaci di governarsi da sé di quanto lo siano i pazzi, gli animali e le bestie feroci, visto che il loro cibo non è più gradevole ed è appena migliore di quello delle belve». Così scriveva nella sua Relectio de Indis nel 1539 il giurista Francisco Vitoria a proposito degli Amerindi. È la teoria della tesi della superiorità degli europei sugli homunculi americani, applicata poi anche ai neri dopo le deportazioni dall’Africa. Forse non sarebbe un’inutile rilettura erudita, lo studio della celebre controversia di Valladolid, che oppose, nel 1550, Bartolomé de Las Casas, abate domenicano e vescovo di Chiapas, fautore dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio, e Ginés de Sepùlveda, erudito e filosofo, sostenitore della tesi dell’homunculus.
LA PROCEDURA VESTANET C3 OVVERO LE LENTICCHIE DI ESAÙ - Dopo aver speso circa un miliardo di euro il governo italiano ha deciso di porre 
fine all’emergenza Nord Africa. A gennaio 2013 la competenza è passata 
dalla Protezione civile alle prefetture che in due mesi hanno svuotato i
 centri, tranne, come si è detto, quello di Lampedusa e quello di Mineo.
 Ma vi sono i casi spinosi di chi, e sono tanti, avendo avuto un diniego
 sulla richiesta di asilo, ha fatto ricorso. Per ovviare a questo mare 
di ricorsi, il governo italiano ha deciso di prendere un decisione 
salomonica che a molti è apparsa piuttosto ponziopilatesca. Una Nota del
 Ministero dell'Interno, in data 30 ottobre 2012, dal titolo "Istruzioni sulla nuova funzionalità del sistema Vestanet C3- gestione emergenza Nord Africa",
 è stata inviata a tutte le Questure d'Italia. Si tratta di una 
procedura telematica semplificata volta a ad accelerare i tempi per il 
rilascio dei permessi di soggiorno, nel caso di chi ha richiesto la 
protezione internazionale ma abbia ricevuto un diniego. E i dinieghi 
riguardano 22.000 persone. In sostanza il Ministero ha proposto loro di 
archiviare tutti i procedimenti giudiziari. Il richiedente deve andare 
alla Questura della sua città e chiedere il riesame della propria 
posizione seguendo la procedura  "Vestanet C3", senza sottoporsi ad 
un'altra audizione, in modo da ottenere in 20 giorni un permesso 
transitorio, equiparabile indirettamente a uno umanitario, convertibile 
in uno di lavoro. Ma, ovviamente, rinunciando ipso facto, ai ricorsi. La scelta del migrante è quasi obbligata: 20 giorni rispetto a un anno e anche più di attesa. È il classico piatto di lenticchie di Esaù: rinunciare alla possibilità
 di far rispettare i propri diritti per accedere alla procedura e poter 
avere il lasciapassare. Il piatto è stato reso più appetibile da un benefit di euro 500 
 che lo Stato ha messo a disposizione degli "ospiti" per lasciare i 
centri e trovare fortuna da un'altra parte. Ovviamente tali procedure non sono state condivise da alcuni Stati europei
 in cui i migranti si sono riversati, che hanno accusato l’Italia di 
aver scaricato il peso dell’emergenza su altri paesi. Il caso ha 
provocato grane con la Germania, dove sono confluiti molti di questi 
migranti. E se il governo tedesco si è detto fiducioso di un accordo con
 l’Italia, il ministro bavarese Joachim Hermann ha usato toni più rudi, definendo l’Italia "sfacciata".
 speso circa un miliardo di euro il governo italiano ha deciso di porre 
fine all’emergenza Nord Africa. A gennaio 2013 la competenza è passata 
dalla Protezione civile alle prefetture che in due mesi hanno svuotato i
 centri, tranne, come si è detto, quello di Lampedusa e quello di Mineo.
 Ma vi sono i casi spinosi di chi, e sono tanti, avendo avuto un diniego
 sulla richiesta di asilo, ha fatto ricorso. Per ovviare a questo mare 
di ricorsi, il governo italiano ha deciso di prendere un decisione 
salomonica che a molti è apparsa piuttosto ponziopilatesca. Una Nota del
 Ministero dell'Interno, in data 30 ottobre 2012, dal titolo "Istruzioni sulla nuova funzionalità del sistema Vestanet C3- gestione emergenza Nord Africa",
 è stata inviata a tutte le Questure d'Italia. Si tratta di una 
procedura telematica semplificata volta a ad accelerare i tempi per il 
rilascio dei permessi di soggiorno, nel caso di chi ha richiesto la 
protezione internazionale ma abbia ricevuto un diniego. E i dinieghi 
riguardano 22.000 persone. In sostanza il Ministero ha proposto loro di 
archiviare tutti i procedimenti giudiziari. Il richiedente deve andare 
alla Questura della sua città e chiedere il riesame della propria 
posizione seguendo la procedura  "Vestanet C3", senza sottoporsi ad 
un'altra audizione, in modo da ottenere in 20 giorni un permesso 
transitorio, equiparabile indirettamente a uno umanitario, convertibile 
in uno di lavoro. Ma, ovviamente, rinunciando ipso facto, ai ricorsi. La scelta del migrante è quasi obbligata: 20 giorni rispetto a un anno e anche più di attesa. È il classico piatto di lenticchie di Esaù: rinunciare alla possibilità
 di far rispettare i propri diritti per accedere alla procedura e poter 
avere il lasciapassare. Il piatto è stato reso più appetibile da un benefit di euro 500 
 che lo Stato ha messo a disposizione degli "ospiti" per lasciare i 
centri e trovare fortuna da un'altra parte. Ovviamente tali procedure non sono state condivise da alcuni Stati europei
 in cui i migranti si sono riversati, che hanno accusato l’Italia di 
aver scaricato il peso dell’emergenza su altri paesi. Il caso ha 
provocato grane con la Germania, dove sono confluiti molti di questi 
migranti. E se il governo tedesco si è detto fiducioso di un accordo con
 l’Italia, il ministro bavarese Joachim Hermann ha usato toni più rudi, definendo l’Italia "sfacciata".
MALIANI E NON MALESI – Tra i migranti a cui non è riconosciuto il diritto di asilo vi sono  i profughi provenienti dal Mali,
 paese africano dove è in corso una guerra civile che ha provocato 
l’intervento francese. È bene conoscere meglio la loro situazione, prima
 di giudicare. E non incappare nell’infortunio di scambiare i maliani 
con i malesi, come accade alla pagina Fb del Movimento poliziotti. I 
maliani non godono dei requisiti per l’asilo, tuttavia hanno diritto 
alla protezione sussidiaria, che prevede un permesso di soggiorno
 triennale, rinnovabile. Lo ha stabilito tra l’altro una sentenza del 
Tribunale di Roma dell’11 luglio 2012. Il giudice ha riconosciuto, a 
causa del clima di violenza indiscriminata che caratterizza quel paese, 
il diritto alla protezione sussidiaria ad uno straniero proveniente dal 
Mali, a cui era stato negato lo status di rifugiato e che aveva 
impugnato la sentenza. Occorre rammentare che il beneficiario di 
protezione sussidiaria ha diritto al rilascio di un permesso di 
soggiorno per protezione sussidiaria con validità triennale e 
rinnovabile (art. 23, c. 2, D.Lgs. 251/07), nonché del titolo di 
viaggio, ogni qual volta sussistano fondate ragioni che non gli 
consentano di chiedere il rilascio del passaporto alle autorità 
diplomatiche del paese di cittadinanza (art. 24, c. 2, D.Lgs. 251/07). 
Il permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, in presenza dei 
requisiti necessari, può essere convertito in un permesso per motivi di 
lavoro (art. 23, c. 2, D.Lgs. n. 251/07). Il titolare di 
protezione sussidiaria può chiedere la concessione della cittadinanza 
italiana decorsi 10 anni di regolare residenza, e dunque alle medesime 
condizioni previste per il cittadino straniero regolarmente soggiornante
 sul territorio. Il giudice romano richiama nella sua sentenza la nota del 15 giugno 2012, prot. 4369, avente ad oggetto la situazione del Mali, in cui il Ministero dell'Interno al punto n. 5 rileva che «poichè
 in Mali la situazione è instabile e rimane incerta, l'UNHCR raccomanda 
agli Stati di sospendere i rimpatri forzati in questo paese dei 
cittadini maliani o dei residenti in Mali, finché non si siano 
stabilizzate le condizioni di sicurezza e la situazione di abusi dei 
diritti umani». Non è dunque un caso che negli ultimi episodi 
avvenuti al Cara di Mineo i maliani siano stati protagonisti. Il 
crescente malumore deriva proprio dalla consapevolezza di aver diritto 
al permesso di soggiorno triennale, ben al di là dunque di quello 
umanitario di un solo anno, diritto di fatto negato dalla esasperante 
lentezza della Commissione territoriale. Secondo le associazioni 
antirazziste catanesi la scintilla che ha fatto scatenare la reazione 
violenta del 14 giugno sarebbe stata un avviso diramato dalla direzione del Cara
 in cui si invitavano gli ospiti che avessero fretta di lasciare la 
struttura a dichiarare per iscritto la rinuncia al bonus di 500 euro. 
Fatto contestato dai dirigenti del Consorzio Cara Mineo che hanno 
rilasciato il 17 giugno le seguenti dichiarazioni: «L'eventuale 
correttezza delle motivazioni di una sparuta minoranza non può essere 
una giustificazione all'esplosione della violenza nelle proteste di 
venerdì scorso» - ha detto il Direttore Sebastiano Maccarrone.  «Sappiamo
 che molti maliani sopportano il disagio di mesi di attesa, ma al Cara 
di Mineo abbiamo fatto tutto il possibile per garantire la dignità delle
 persone e il loro benessere fisico e psichico, moltiplicando le 
attività formative, culturali, ricreative e ogni sforzo per aiutare 
nell'inserimento al lavoro e nel territorio. I richiedenti asilo sanno 
bene che i ritardi non dipendono da noi e che le leggi vanno rispettate». E il Presidente di Sol.Calatino Paolo Ragusa ha parlato di clima di “convivenza civile e pacifica” all’interno del Cara, «grazie
 alla professionalità e alla dedizione del personale, e alla 
collaborazione della maggior parte degli ospiti con cui si crea sempre 
un ottimo rapporto, di fiducia e scambio. I ritardi per cui, da parte di
 una piccolissima minoranza di ospiti, si è accesa la miccia della 
protesta violenta, non riguardano il lavoro della gestione del Cara 
Mineo, e comunque non possono essere addotti a giustificazione di 
aggressioni a persone o cose, ma se mai possono essere motivo di 
richieste politiche da indirizzare alle autorità competenti». I dirigenti del Cara smentiscono di aver chiesto la rinuncia al bonus: «Nessun
  avviso ha mai richiesto ai rifugiati la rinuncia ad un loro diritto. 
Semplicemente alcuni ospiti, alla notizia dell'ottenimento del permesso 
di soggiorno, sono giustamente impazienti di lasciare il Centro (specie 
se hanno atteso mesi e mesi...) e non vogliono attendere anche i tempi 
della banca. In tal caso, se vogliono lasciare il Centro appena ottenuto
 il permesso di soggiorno,  dovranno essi stessi poi recarsi in  banca a
 ritirare il mandato nominativo rinunciando soltanto alla cortesia del 
Cara che solitamente li accompagna con una navetta, a gruppi di dieci o 
venti, appena ha notizia dell'erogabilità del bonus». Borderline-Sicilia,
 ha pubblicato la rettifica delle autorità del centro di accoglienza 
menenino, confermando tuttavia l’esistenza di un “avviso facilmente 
travisabile”. Inoltre in un post del 21 giugno, a conclusione 
dell’incontro inter-etnico avuto con alcuni ospiti del Cara, si aggiunge
 che «alcuni di loro hanno mostrato alcune pietanze maleodoranti che sono costretti a mangiare»,  e che «la
 diaria di euro 3,50 è stata ridotta a euro 2,50 e non pochi hanno 
confermato l'esistenza dell'avviso nel quale si richiede a chi ha già il
 permesso di soggiorno ed ha urgenza di partire, la rinuncia scritta al 
bonus di euro 500, previsto per la fine dell'emergenza Nordafrica». Per il sindacato di polizia Siap, il Centro accoglienza richiedenti asilo di Mineo «è
 una polveriera contenente 3.000 persone anziché i 1.500 promessi che al
 minimo fastidio scaricano la loro rabbia  nei confronti dei loro 
guardiani». Il segretario provinciale del Siap Tommaso Vendemmia lamenta che l’ufficio immigrazione di Catania è «naturalmente e rigorosamente sotto organico», e conclude provocatoriamente: «allora
 perché trattenerli “liberi di aspettare” al Cara? Non sarebbe il caso 
di rilasciare un permesso dopo aver fatto l’accertamento sulla persona? 
La verità è che, il “paese” del Cara di Mineo, è un business per tanti, 
ma non certamente per i poliziotti». Business o non business, la 
verità è che la tensione sta crescendo in modo preoccupante tra ospiti e
 Forze dell’ordine. E che la bomba umanitaria di questa guerra fra 
poveri artificialmente creata rischia di esplodere con conseguenze 
difficilmente prevedibili. Basterebbe aumentare le Commissioni 
territoriali e i loro effettivi, velocizzando le pratiche, per sgonfiare
 immediatamente la tensione. Basterebbe, in fondo garantire il diritto e la legge.
IL CARA AI MENENINI – In seguito ai disordini del 14 giugno, il neo eletto sindaco di Mineo Anna Aloisi, ha convocato il 18 giugno i rappresentanti dei Comuni che formano il «Consorzio Calatino Terra d'Accoglienza»
 (Mineo, Ramacca e San Michele di Ganzaria). All’incontro hanno 
partecipato, inoltre, il direttore del consorzio dei comuni che gestisce
 il Centro d’Accoglienza per Richiedenti Asilo, Giovanni Ferrera e il responsabile delle relazioni istituzionali del centro, Luca Odevaine. Si è discusso anche della probabile designazione del sindaco della città di Capuana a vice presidente del Consorzio. «Chiederemo – ha dichiarato  il primo cittadino - un
 incontro con il prefetto e il questore. Noi vogliamo investire sul Cara
 e per questo, di concerto con il sottosegretario Giuseppe Castiglione, è
 mia priorità aprire un confronto diretto con il Ministero dell'Interno».
 Il consorzio si è costituito perché, non essendo più prevista la figura
 del Soggetto attuatore (la Provincia di Catania), occorreva un soggetto
 pubblico in grado di interloquire con il Ministero e la Prefettura per 
la gestione del centro. Intanto in un comunicato del gruppo consiliare 
menenino d’opposizione, “Mineo prima di tutto”, firmato dai consiglieri Nella Risuscitazione, Pietro Catania, Chiara Cutrona, Mario Noto e Cristina Venuti, si chiede al sindaco Anna Aloisi di assumere il ruolo di presidente del Consorzio dei Comuni che dal 30 giugno gestirà il Cara. Questo perché «La
 presidenza del nostro sindaco sarebbe reale e piena garanzia per 
l’esercizio delle funzioni di controllo, sia dell’ordine pubblico che 
sulla gestione del Cara, che, ricordiamo, si aggira attorno al costo di 
oltre i 30 milioni di euro annui». Il gruppo  consiliare chiede che 
almeno il 20% dei lavoratori della struttura provenga da Mineo, che 
l’assunzione del personale avvenga attraverso graduatorie pubbliche e trasparenti, e segua il protocollo “Carlo Alberto Dalla Chiesa”, al fine di evitare pericolose infiltrazioni mafiose, che, infine, venga rispettato il “Patto per la sicurezza”, accordo
 che prevede in premessa una capienza massima di duemila ospiti nell’ex 
“Villaggio degli aranci”, non certo di tremila come gli attuali. Questo 
per fare in modo che «il Cara di Mineo sia Cara, e non altro», luogo in cui siano garantiti «i diritti inalienabili dei richiedenti asilo» e «un’accoglienza più serena da parte degli operatori locali e delle forze dell’ordine, stanche di “un paese senza regole”».
 Frattanto la foto dei disordini scoppiati al Cara, postata sulla pagina
 Fb “Qui Mineo” fa il giro del mondo e sbarca in America,  provocando le
 reazioni sorprese e amare dei vecchi inquilini del “Villaggio degli 
aranci”. «I think this can be all our houses – esclama allarmata Liza Granato Farrell – so sad. I loved Mineo!» [Penso che siano le nostre case. Che tristezza. Ho amato MIneo]. Le fa eco Justine Frederick: «Is that MY HOUSE?? What is going on?» [È casa mia? Che succede?]. «Crazy to think I used to call this home. What a change»
 [È pazzesco pensare che ero solita chiamare questa casa. Che mutamento]
 conclude amaramente Heather Kittle. Oggi solo un folle potrebbe 
paragonare il Cara a una casa. Solo una decisa inversione di rotta 
potrebbe far sì che chiamare il Cara di Mineo “casa” non sia più una 
follia.
 di Mineo Anna Aloisi, ha convocato il 18 giugno i rappresentanti dei Comuni che formano il «Consorzio Calatino Terra d'Accoglienza»
 (Mineo, Ramacca e San Michele di Ganzaria). All’incontro hanno 
partecipato, inoltre, il direttore del consorzio dei comuni che gestisce
 il Centro d’Accoglienza per Richiedenti Asilo, Giovanni Ferrera e il responsabile delle relazioni istituzionali del centro, Luca Odevaine. Si è discusso anche della probabile designazione del sindaco della città di Capuana a vice presidente del Consorzio. «Chiederemo – ha dichiarato  il primo cittadino - un
 incontro con il prefetto e il questore. Noi vogliamo investire sul Cara
 e per questo, di concerto con il sottosegretario Giuseppe Castiglione, è
 mia priorità aprire un confronto diretto con il Ministero dell'Interno».
 Il consorzio si è costituito perché, non essendo più prevista la figura
 del Soggetto attuatore (la Provincia di Catania), occorreva un soggetto
 pubblico in grado di interloquire con il Ministero e la Prefettura per 
la gestione del centro. Intanto in un comunicato del gruppo consiliare 
menenino d’opposizione, “Mineo prima di tutto”, firmato dai consiglieri Nella Risuscitazione, Pietro Catania, Chiara Cutrona, Mario Noto e Cristina Venuti, si chiede al sindaco Anna Aloisi di assumere il ruolo di presidente del Consorzio dei Comuni che dal 30 giugno gestirà il Cara. Questo perché «La
 presidenza del nostro sindaco sarebbe reale e piena garanzia per 
l’esercizio delle funzioni di controllo, sia dell’ordine pubblico che 
sulla gestione del Cara, che, ricordiamo, si aggira attorno al costo di 
oltre i 30 milioni di euro annui». Il gruppo  consiliare chiede che 
almeno il 20% dei lavoratori della struttura provenga da Mineo, che 
l’assunzione del personale avvenga attraverso graduatorie pubbliche e trasparenti, e segua il protocollo “Carlo Alberto Dalla Chiesa”, al fine di evitare pericolose infiltrazioni mafiose, che, infine, venga rispettato il “Patto per la sicurezza”, accordo
 che prevede in premessa una capienza massima di duemila ospiti nell’ex 
“Villaggio degli aranci”, non certo di tremila come gli attuali. Questo 
per fare in modo che «il Cara di Mineo sia Cara, e non altro», luogo in cui siano garantiti «i diritti inalienabili dei richiedenti asilo» e «un’accoglienza più serena da parte degli operatori locali e delle forze dell’ordine, stanche di “un paese senza regole”».
 Frattanto la foto dei disordini scoppiati al Cara, postata sulla pagina
 Fb “Qui Mineo” fa il giro del mondo e sbarca in America,  provocando le
 reazioni sorprese e amare dei vecchi inquilini del “Villaggio degli 
aranci”. «I think this can be all our houses – esclama allarmata Liza Granato Farrell – so sad. I loved Mineo!» [Penso che siano le nostre case. Che tristezza. Ho amato MIneo]. Le fa eco Justine Frederick: «Is that MY HOUSE?? What is going on?» [È casa mia? Che succede?]. «Crazy to think I used to call this home. What a change»
 [È pazzesco pensare che ero solita chiamare questa casa. Che mutamento]
 conclude amaramente Heather Kittle. Oggi solo un folle potrebbe 
paragonare il Cara a una casa. Solo una decisa inversione di rotta 
potrebbe far sì che chiamare il Cara di Mineo “casa” non sia più una 
follia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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