Salutiamo quest’annus horribilis che passa senza alcun rimpianto. Eppure un rimpianto dovremmo averlo: avremmo dovuto uscirne migliori e forse abbiamo sprecato l’occasione. Ce la faremo nel 2021? Forse. Se cominceremo a comportarci da adulti e vaccinati. In tutti i sensi.
di Giacomo Belvedere
Addio 2020 oppure arrivederci? C’è una voglia irrefrenabile di mandare il 2020 al quel paese. Nulla di nuovo sotto il sole: ad ogni fine anno mandiamo a quel paese l’anno vecchio. Ma questo 31 dicembre la voglia di farla finita con l’anno vecchio è più forte, è viscerale. Si spera che, mettendo una pietra tombale sul 2020, si possa ricominciare daccapo. Non è così. Gli ultimi dati del contagio di questo 31 dicembre 2020 ci dicono che il Covid non allenta affatto la morsa - anzi i numeri crescono - e col nuovo anno avremo gli stessi, se non più gravi, problemi del 2020, col solito balletto improbabile di aperture e chiusure. Ma tant’è.
A fine anno si ripete il rito dell’attesa. L’attesa di un passaggio, dal vecchio al nuovo. È l’attesa che rende ogni fine anno così affascinante, ma anche così illusoria. E ricadiamo, ogni volta, nell’illusione, pur sapendo che è, appunto, lusus, gioco.
Lo spiega con mirabile levità Giacomo Leopardi in quel testo straordinario che è il Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere:
Passeggere
Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore
Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.
Passeggere
Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?
Venditore
Appunto.
Passeggere
Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli è toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore
Speriamo.
Passeggere
Dunque mostratemi l’almanacco più bello che avete.
Venditore
Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Passeggere
Ecco trenta soldi.
Venditore
Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.
Nessun fatalismo, beninteso. Salutiamo quest’annus
horribilis che passa senza alcun rimpianto. Eppure un rimpianto dovremmo averlo:
avremmo dovuto uscirne migliori e forse abbiamo sprecato l’occasione. Gli anni,
infatti, sono come li abbiamo fatti noi, avverte Sant’Agostino: “Viviamo in
tempi brutti... Anche i nostri padri deplorarono di dover vivere brutti tempi,
ed anche i padri dei nostri padri. Ma chi vive rimpiange i tempi andati di
prima […] Tempi brutti! Ma son proprio brutti i tempi, quelli che sono
collegati con il movimento del sole? I tempi son brutti perché tali li rende la
malvagità degli uomini... Facciamo attenzione a noi stessi, penetriamo in noi
stessi, esaminiamoci bene. Troveremo dentro di noi i tempi brutti”.
Per spezzare il fascino ingannevole dell’illusione,
occorrerebbe spianare la via per “passare oltre” e segnare
davvero una discontinuità. Ce la faremo nel 2021? Forse. Dipende solo da noi, se
cominceremo a comportarci da adulti e vaccinati. In tutti i sensi. Ma dovremo
percorrere con ragionevolezza e coraggio le vie più impervie e strette, lasciando
soli nella loro ridicola insulsaggine gli imbonitori delle soluzioni facili. Solo
allora potremo uscir a riveder le stelle. Oppure potremo fare gli struzzi. E l’anno
nuovo sarà esattamente come quello che abbiamo lasciato.
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