Pubblicato il 09/01/2020
ATTUALITÀ

Bambino morto nel carrello dell'aereo: quando la rete diventa la fossa dei leoni



Un commento infame sul bambino morto sull’aereo per Parigi ha scatenato una pioggia di insulti contro la signora che lo ha proferito. La logica del branco fa uscire il peggio da noi, anche quando abbiamo ragione. Perché il branco ti disumanizza.


di Giacomo Belvedere

Questa è una storia di errori. Definire il primo un errore è un eufemismo, perché si tratta piuttosto di un crimine: un bambino di 10 anni è stato trovato morto all’aeroporto di Parigi nel carrello d’atterraggio di un Boeing 777 proveniente dalla Costa d’Avorio. Si era imbarcato di nascosto ad Abidjan. È morto, solo, congelato: in alta quota le temperature raggiungono i -50 gradi. Non si sa il suo nome. Una delle tanti morti anonime che costellano questi nostri anni tristi e disumani.


Il secondo errore è una storia di ordinaria disumanità. Una signora, di cui non facciamo il nome, scrive sotto il post di un giornalista, che pubblica la notizia su Facebook, un commento infame: “Ha pensato di farsi rimborsare il biglietto?”. La signora ha nel suo profilo un foto in cui tiene un bambino in braccio, probabilmente suo nipote. Contattata da Next Quotidiano ha minimizzato candidamente, affermando che la sua voleva essere una “provocazione” e “una battuta sarcastica” per puntare il dito sui “veri responsabili della morte del bambino”, su chi non ha sorvegliato in aeroporto e su chi gli ha detto “di andarsi a nascondere lì”.


Il terzo errore lo commette il giornalista (anche di lui non facciamo il nome, perché potrebbe essere ciascuno di noi), che decide di “mostrare l’orrore nella sua nudità, nell’idea che solo mostrandolo senza filtri forse tanti l’avrebbero finalmente potuto vedere per quello che era: la sua miseria, la sua normalità. La banalità del male che tiene un bambino in braccio e umilia un altro bambino poco più grande morto congelato nel carrello di un aereo perché sognava di essere come suo nipote”.


E si scatena la canea. Parte la corsa a rintracciare il profilo Facebook della signora. Un profilo non aggiornato (l’ultimo post risale a settembre 2017), ma visibile a tutti. E sotto l’ultimo post del 2017, relativo alla ricerca di un fattorino per la pizzeria gestita dalla signora, comincia la ridda dei commenti. Una corsa al massacro: in meno di 24 ore circa 4.500 commenti. Un fiume in piena di insulti, il più irripetibili: da chi le augura la morte a chi la definisce brutta strega. “Spero che anche a suo nipote rimborsino il biglietto”, scrive uno.


C'è anche una pagina Facebook di una pizzeria, che ha il solo torto di avere lo stesso nome di quella della signora, che viene attaccata. E devono scusarsi e chiarire che loro non c'entrano nulla, perché sono di Bergamo, mentre la signora è di Milano.


Nei commenti ben pochi sono quelli che invitano a ragionare e a non eccedere nelle critiche, a non passare il segno, “perché altrimenti non siamo diversi dagli odiatori che critichiamo”. Voci isolate nel mare di merda che si riversa sulla signora.


Certo, la reazione d'istinto, quando leggi il suo commento, è di vomitarle tutto il peggio. Ed è una reazione comprensibilissima. Ma agire d’istinto non porta a nulla di buono. E dovrebbe far riflettere il fatto che la logica del branco faccia uscire il peggio da noi, anche quando abbiamo ragione. Perché il branco ti disumanizza.


Mostrare foto e nome della signora su internet, ha comportato di darla in pasto alla rete, gettarla nella fossa dei leoni. E la rete non perdona. Tanto più che il tipo si presta: livello culturale basso, simpatie di destra, persino un cane di nome Adolf. Corrisponde alla perfezione al tipo ideale del razzista populista. Un bersaglio predestinato.


Mettere alla gogna mediatica le persone è il vizietto a cui è aduso chi ha costruito la sua fortuna politica sull’odio e sulla paura. Non dovrebbe averlo chi sogna un mondo fondato sui valori della solidarietà e accoglienza. Sarebbe stato molto meglio oscurare il volto e il nome della signora e di suo nipote, non il commento, ed eventualmente segnalarla a Facebook o anche denunciarla. Perché occorre sempre ricorrere alla legge e non farsi giustizia da sé. Ma tant’è. Il veleno dell’odio prende la mano a tutti, nessuno escluso.


Il giornalista ha chiesto scusa. “Quando ieri ho pubblicato il commento disumano, scioccante, inconcepibile di questa signora - ha scritto oggi -, non è stato certo perché migliaia di follower indignati la manganellassero via social in alcuni casi con la stessa barbarie dell’oggetto del loro odio. Perché di odio si tratta, sempre. Non importa da che parte venga e con quale intenzioni. Ma ho sbagliato. Non perché i miei intenti fossero sbagliati, ma perché, quando hai un certo seguito e arrivi a milioni di persone, hai il dovere di chiederti le conseguenze collaterali di ciò che scrivi o pubblichi. Vale per Salvini. Vale per qualunque leader politico. Vale per un personaggio pubblico, attore, cantante o influencer che sia. E vale per me”.


Ciò va a suo merito, ma tutta questa triste vicenda deve servire a far riflettere sul fatto che nessuno è immune dall’odio, dalle reazioni di pancia. La rabbia e l’odio le trovi a buon mercato; la pietà è invece merce rara, che va ricercata con fatica. Ma è l’unico antidoto contro la sindrome delle Baccanti, del branco invasato che divora il nemico. I greci lo avevano capito: solo la compassione ti ridà l’umanità perduta. Il vero eroe non è Achille che strazia il corpo di Ettore, per vendicare la morte di Patroclo, ma Achille che restituisce il corpo di Ettore al vecchio Priamo, perché  in lui rivede suo padre.

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