di Giacomo Belvedere – Giuliana Buzzone
Si è tenuta ieri 28 aprile l’udienza preliminare, davanti al Gup di Caltagirone, Salvatore Ettore Cavallaro, sulla richiesta di rinvio a giudizio per la presunta parentopoli al comune di Mineo, che riguarderebbe assunzioni sospette presso il Cara di Contrada Cucinella. L’inchiesta coinvolge il sindaco di Mineo, Anna Aloisi, già presidente del Consorzio Calatino terra d’Accoglienza” (che amministrava il Cara prima della messa in mora dopo le perquisizioni e gli avvisi di garanzia emessi dalla Procura etnea), l’ex primo cittadino Giuseppe Mario Mirata, l’ex presidente del Consorzio Sol Calatino Paolo Ragusa, l’ex consigliere e assessore comunale Luana Mandrà e l’ex assessore comunale Maurizio Gulizia. Le informazioni di garanzia erano partite l’estate scorsa. Le ipotesi di reato sono, a vario titolo, istigazione alla corruzione e corruzione in atti d’ufficio. Il Gup è chiamato a decidere se gli elementi indiziari e probatori raccolti dalla Procura calatina siano sufficienti per il rinvio a giudizio.
I FATTI – Due sono gli episodi contestati: un posto di lavoro nel Cara, rifiutato, alla fidanzata di un consigliere comunale di minoranza in cambio di un “trasloco”, armi e bagagli, alla maggioranza, e analoghe offerte, in cambio di un posto di assessore all’ex consigliere comunale Luana Mandrà. Secondo l’accusa, per passare dall’opposizione, che contava 8 consiglieri su 15, al gruppo Uniti per Mineo, sarebbe stato offerto nel giugno 2013 alla Mandrà un posto di lavoro dirigenziale a tempo indeterminato nel Cara di Mineo, proposta respinta. Una seconda proposta nell’estate del 2014: un posto di lavoro presso le aziende di Paolo Ragusa, se avesse accettato la carica di assessore. Anche in questo caso la proposta non sarebbe stata accettata. Il 26 agosto del 2014 la nomina ad assessore alla Pubblica istruzione e Politiche giovanili e al Personale. Incarico che manterrà per sette mesi e cinque giorni sino alle dimissioni avvenute il 26 marzo 2015. Ma già dopo quattro mesi la Mandrà rassegna la delega al Personale nelle mani del Sindaco. Tornata all’opposizione la Mandrà ha firmato la mozione di sfiducia al Sindaco e il 19 ottobre del 2015 le successive dimissioni di tutti i consiglieri d’opposizione. In un primo momento, il 15 giugno del 2015 si è avvalsa della facoltà di non rispondere, ma 17 giorni dopo, il 2 luglio, ha manifestando una volontà collaborativa, recandosi presso la polizia giudiziaria (Carabinieri), per rendere delle dichiarazioni spontanee su tutto ciò che poteva essere rilevante per le indagini.
LA DIFESA ALOISI E RAGUSA – Nel corso della prima seduta, tenutasi il 18 febbraio scorso, il Procuratore Verzera aveva confermato la propria accusa e la richiesta di rinvio a giudizio per i cinque imputati. Il sindaco Anna Aloisi e Paolo Ragusa avevano reso delle dichiarazioni spontanee, per contestare la ricostruzione dell’accusa. Giovedì scorso è stata la volta degli avvocati difensori degli imputati.
L’avvocato difensore di Anna Aloisi ha sostenuto che, quando venne nominata, assessore la Mandrà, non vi era urgenza o necessità da parte del Sindaco di puntellare la sua Giunta. Non esisteva infatti alcuna mozione di sfiducia né alcuna mozione poteva essere presentata o minacciata, perché non erano passati due anni dall’insediamento del sindaco, in quanto ai sensi del T.U. Enti locali non è possibile sfiduciare il sindaco se non sono trascorsi almeno due anni dall’insediamento.
La difesa di Paolo Ragusa ha argomentato che nel momento in cui alla Mandrà si sarebbe offerto un posto di lavoro per passare al gruppo Uniti per Mineo, la stessa faceva parte di quel gruppo, e dunque, per la difesa, «non si capisce bene cosa si sarebbe offerto». Inoltre, sempre secondo la difesa, una proposta di un incarico dirigenziale presso il Cara di Mineo non era possibile farla, perché l’organigramma del Cara di Mineo è un organigramma stabilito per legge e per direttive del Ministero: la presunta offerta era dunque improponibile. Ragusa si sarebbe limitato a consigliare alla Mandrà bandi di concorso cui partecipare. Ed è un rapporto proseguito anche dopo la rottura tra la Mandrà e l’amministrazione.
MANDRÀ: TESTIMONE E IMPUTATA – Cruciale, ai fini del dibattimento, la posizione di Luana Mandrà, personaggio chiave dell’inchiesta. Il suo avvocato, Gino Ioppolo ha impostato la difesa su tre cardini essenziali. I primi sue sono preliminari alla discussione sul capo d’accusa: in primis, chiarisce, la sua assistita è «piuttosto testimone in questo processo che imputata», avendo dimostrato volontà collaborativa con gli inquirenti; in secondo luogo occorre per Ioppolo «rifuggire da ogni tentazione sistemica di considerare il provvedimento costola o aggancio di altri provvedimenti, per concentrarsi esclusivamente sulla questione assegnata dal capo di accusa». È evidente il tentativo di sganciare il procedimento dalle altre, e più rilevanti, inchieste che vedono coinvolto il Cara di Mineo.
La difesa è dunque passata ad esaminare il capo di accusa: corruzione per l’esercizio della funzione. Una norma, secondo Ioppolo, «inapplicabile nella fattispecie»: «bisogna avere la prova di avere voluto piegare l’esercizio della funzione dentro un sistema, dentro un patto corruttivo. La prova del patto corruttivo non è assolutamente esistente nell’ambito di questo procedimento». Per la difesa, gli elementi raccolti dalla Procura non sono «immediatamente dotati del crisma della evidenza»; inoltre non sono «privi di carenze e contraddittorietà». Ciò, a suo avviso, destituisce di forza «l’obiettivo che è individuato malamente ed erroneamente nel capo di imputazione». «Sono i fatti che il PM contesta ad altri che sostanzialmente scagionano la Mandrà»: il fatto che la Mandrà per due volte non abbia accettato le proposte, secondo quanto ricostruito dall’accusa, «significa che non era a caccia di favori, persona assolutamente trasparente, adamantina».
Inoltre la nomina ad assessore il 26 agosto del 2014, sarebbe stata dettata, come sostenuto dal Sindaco Aloisi il 18 febbraio scorso nel corso delle dichiarazioni spontanee, dal fatto che la Mandrà costituiva all’interno del Consiglio comunale di Mineo e della città «una risorsa», che aveva tutte le caratteristiche in regola per potere assurgere alla carica di assessore. Secondo Ioppolo, l’«entrare nel governo dell’organo esecutivo della città non comportava assolutamente alcun tipo di vantaggio per il capo dell’amministrazione comunale». Il passaggio da 7 a 8 consiglieri non era essenziale – questo il ragionamento della difesa – a che il sindaco Aloisi, come si legge nel capo di imputazione, potesse continuare ad esercitare la funzione di Sindaco perché, provenendo il mandato direttamente dagli elettori, e non dalla mediazione del consiglio comunale, «un sindaco può contare sulla maggioranza per avere vita più comoda, ma non pregiudica il suo mandato tanto è vero che a Mineo in atto non vi è il consiglio comunale, i cui poteri sono sostituiti da un commissario regionale ad acta, e il sindaco è rimasto in carica. E la sfiducia al sindaco con poteva andare in porto, mancando i numeri, tant’è che l’opposizione ha deciso di dimettersi».
«Un patto – ha proseguito Ioppolo – che non è frutto di mercimonio, altrimenti non sarebbe durato 7 mesi e cinque giorni». Se il patto corruttivo ci fosse stato, il ruolo della Mandrà sarebbe stato solo di facciata, invece «la Mandrà fa l’assessore forte all’interno delle sue deleghe». Di qui la il malessere, il contrasto, la rottura. «La Mandrà – ha concluso Ioppolo – che avrebbe rifiutato il posto di dirigente al Cara, rifiutato il posto nelle imprese di Ragusa, rinuncia a svolgere, cosa che avrebbe potuto fare per tre anni tre anni e mezzo, il ruolo di assessore: ma qual è l’utilità che avrebbe avuto dal patto corruttivo?». La risposta della difesa è lapidaria: «ha soltanto sprecato 7 mesi e 5 giorni dietro ad una amministrazione nella quale alla fine non si è integrata».
La prossima udienza per le repliche è stata fissata il 7 luglio prossimo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA