Pubblicato il 11/07/2019
ATTUALITÀ
ph. Andrea Annaloro

Cara o non Cara, questo è il problema



Il Cara di Mineo è chiuso, ma il problema è solo stato spostato altrove. Si è scelto di far morire l'esperienza degli Sprar e si punta sempre su grossi centri, ghetti che producono disagio e sono potenzialmente criminogeni, e, inoltre, suscitano, come questi anni insegnano, gli appetiti di coop senza scrupoli, che lucrano con i soldi degli italiani sulla pelle dei migranti.  Grossi centri in cui chi è fragile e vulnerabile difficilmente può essere recuperato. Ne parliamo con Samuele Cavallone, responsabile per la Sicilia di MeDU.

di Giacomo Belvedere

Ieri il ministro del’Interno Matteo Salvini ha chiuso il Cara di Mineo. Una chiusura che Salvini aveva auspicato sin dal 2014, in una delle sue prime visite al centro di Contrada Cucinella. Resteranno nel centro, per alcuni mesi, con funzioni di sorveglianza le Forze del’Ordine; poi, a settembre le chiavi verranno consegnate alla ditta proprietaria della struttura, la Pizzarotti. E dunque il Ministro dell’Interno ha messo una pietra tombale su una storia durata 8 anni, da quando, il giorno di San Valentino del 2011, l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il suo ministro Roberto Maroni ebbero l’idea di convertire l’antico Residence degli Aranci, dismesso dai militari statunitensi, nel più grande centro d’accoglienza d’Europa.


CARA O NON CARA, QUESTO È IL PROBLEMA - Chiuso il Cara, tuttavia, resta aperto “il problema Cara”. “Il Cara di Mineo – scrivevamo sei anni fa nel primo numero del Dossier “Carissimo Cara” del 20.06.2013 - è il più grande d’Europa. Al di là, dunque, del pur lodevole impegno dei singoli, tende a produrre strutturalmente dinamiche distorte e a perpetuare piuttosto la logica della segregazione e del ghetto che quella dell’accoglienza e dell’integrazione. Inoltre la presenza di oltre 50 etnie diverse, spesso divise da storiche rivalità,  non può non avere negative influenze sulle relazioni interne al centro”. Non occorreva essere dei geni per capire che la “soluzione Cara” al problema dell’immigrazione era una soluzione antropologicamente disfunzionale. A Mineo, questa disfunzionalità è stata aggravata dalle dimensioni elefantiache del centro, che è arrivato ad avere sino a 4.500 ospiti, senza contare gli “invisibili”. Con questi grossi numeri era impossibile fare vera integrazione e si è creato, semmai, un limbo in cui le esistenze sono state sospese, in un habitat che produceva isolamento e anonimato.


Ben venga, dunque, la chiusura di questo enorme ghetto. Quel che lascia perplessi è che questa chiusura sa di programmatico e ideologico e appare fine a sé stessa, con un esito assolutamente nichilistico: nessuna prospettiva di miglioramento  per gli ospiti; nessun piano di ricollocamento  per i 299 lavoratori rimasti a casa. Chiudere e basta, è stata la parola d’ordine.


Gli ospiti sono stati ricollocati in Cas o Cara: si punta sempre sui grossi centri, mentre, al contrario, si è scelto di “far morire” l’esperienza, alternativa al Cara, degli Sprar. Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) è costituito dalla rete degli enti locali che, avvalendosi del supporto delle realtà del terzo settore, accedono al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo. Si tratta, a differenza del Cara, di progetti di dimensioni medio-piccole - ideati e attuati a livello locale, che non si limitano alla sola distribuzione di vitto e alloggio, ma prevedono anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico. Caltagirone, estranea al modello Cara, ha avuto diverse esperienze positive di accoglienza nella modalità dello Sprar. Un’accoglienza a dimensione umana.


E dunque non si capisce perché, anche solo dal punto di vista della sicurezza, la svolta sull’immigrazione del Viminale ha scelto di tagliare l’esperienza Sprar, continuando invece a perpetuare la logica dei grandi centri, ghetti che producono disagio e quindi sono potenzialmente criminogeni. Non è un caso che tutti gli episodi di cronaca nera, legati all’immigrazione, avvenuti nel Calatino sono ascrivibili al Cara di Mineo, mentre non ne sono stati registrati dagli Sprar presenti sul territorio. Lo sanno bene le Forze dell’Ordine: non c’era giorno che non venisse aperto un dossier sul Cara di Mineo al Commissariato di Caltagirone. Inoltre, come la storia di questi anni dimostra, i grossi centri, per il giro di denaro che c’è, suscitano gli appetiti di coop senza scrupoli, disposte a lucrare con i soldi degli italiani sulla pelle dei migranti.


Il Cara di Mineo, come è noto, è al centro di diverse inchieste giudiziarie a Catania e a Caltagirone. Ironia vuole che gli ultimi ospiti da Mineo siano stati trasferiti al Cara di Capo Rizzuto, nel Crotonese, balzato alle cronache giudiziarie per l’inchiesta antimafia “Jonny”. Ma anche il Cara di Capo Rizzuto è nella black list del Viminale, che vuole chiuderlo. Quindi, in futuro, continuerà per i  migranti il giro di valzer. È il gioco delle tre carte: chiudo il Cara di Mineo; il problema non si risolve, ma lo si sposta altrove, per poi, ancora, spostarlo nuovamente.


L'INTERVISTA A CAVALLONE

Ne parliamo con Samuele Cavallone, responsabile per la Sicilia di MeDU, l’associazione Medici per i Diritti Umani, che ha operato all’interno del CARA per quasi cinque anni, nel corso dei quali ha assistito circa 450 persone altamente vulnerabili, grazie al finanziamento, tra gli altri del Fondo Volontario delle Nazioni Unite per le Vittime di Tortura.  


Voi vi siete occupati, in questi anni, di soggetti cosiddetti “vulnerabili” presenti al Cara di Mineo. Vulnerabili perché?

Dentro la categoria della vulnerabilità ci sono storie diverse e diversi livelli di gravità. Ma diciamo che chiunque abbia attraversato la rotta subsahariana ed è vissuto nei centri di detenzione libici è diventato vulnerabile. Certo ci sono persone più resilienti, che meglio hanno retto l’urto, e persone più fragili, che hanno bisogno di cure. Ma i segni sul corpo e sulla salute mentale delle esperienze drammatiche vissute, sono evidenti in tutti. I 9/10 dei migranti che arrivano in Italia hanno subito forme più è meno evidenti di torture, violenze o trattamenti degradanti.

Quali sintomi manifestano?

Attacchi di panico, insonnia, incubi, flask back che li riportano al passato doloroso, sino a dispercezioni e vere e proprie dissociazioni: c’è chi vedeva di continuo i corpi nelle prigioni libiche. L’esperienza pregressa non è stata assimilata e rielaborata.  Sono ostacoli insormontabili alla piena ripesa di una vita serena se non vengono trattati dal punto di vista psicologico e medico. Nel 70% dei casi si è dovuti ricorrere alla farmacoterapia


Pazienti che, in una struttura come il Cara di Mineo, non trovavano l’habitat ideale...

Esatto.  I pazienti con tratti di vulnerabilità rischiavano di aggravarsi al Cara di Mineo. Questo perché nel centro  l’isolamento e l’anonimato, il sovraffollamento non producevano certo dinamiche positive. Inoltre, di fronte a quelle centinaia di pazienti che siamo riusciti ad intercettare e a inserire i percorsi che sono durati mesi o anche anni,  ci stanno quei tanti, nascosti nella massa, che non siamo riusciti a raggiungere. Ma non potevamo fare di più, date le condizioni.

Quindi avete lavorato in condizioni difficili.

Guardi, le dico solo questo. Dopo la chiusura del Cara di Mineo, la diocesi si è offerta di dare una dimora e assistenza temporanea, in attesa di un ricollocamento altrove, agli ultimi fuoriusciti dal Cara. E sa che è successo? Già in questi pochi giorni, nei 4 casi che avevamo in cura, abbiamo notato un netto miglioramento delle loro condizioni. Hanno giocato senz’altro un ruolo positivo il contesto abitativo a dimensione familiare, la possibilità di avere attenzioni personali, l’azione di supporto del gruppo degli altri ospiti. E si sono avuti miglioramenti a vista d’occhio. Al Cara di Mineo, invece, le vulnerabilità, oltre che ad essere difficilmente identificabili, rischiavano di crearsi.


Avete pazienti che sono stati trasferiti al Cara di Capo Rizzuto?

A Capo Rizzuto ci sono cinque pazienti nostri, di cui uno è un caso grave. Il centro non riproduce certo le dimensioni che in passato ha avuto Mineo, ma conta circa 596 ospiti. Un numero eccessivo per avere un ambiente favorevole, tanto che uno, dopo mesi è scappato. Ricordo che si tratta di persone disorientate, vulnerabili, spesso vittime di sedicenti amici, che finiscono per strada, o in catapecchie o a lavorare in nero per quattro soldi.

Avete avuto in questi anni esiti positivi?

Certo. Si tratta di persone inserite in un percorso serio, che, al termine, sono riuscite a integrarsi e che, grazie anche alla protezione umanitaria di cui godevano, si sono inseriti in contesti positivi, hanno trovato lavoro, hanno frequentato corsi di formazione. Lo ripeto: si tratta di patologie sul filo del rasoio e per questo è indispensabile mantenere un equilibrio: avere un permesso di soggiorno, una dimora a misura d’uomo, evita nuovi traumi.


Qual è la situazione dopo il cosiddetto Decreto Sicurezza?

Il Decreto, così come è stato pensato, ha di fatto ostacolato i percorsi di riabilitazione. Dirò di più. Dai migranti il cambio è stato avvertito. Sono spaventati, percepiscono un clima di astio. La cancellazione della protezione umanitaria, che dava diritto all’accoglienza di secondo livello, ha peggiorato le cose. Ora si parla solo di percorsi vaghi per cure mediche, che non consentono certo il livello di integrazione offerto dal modello Sprar.  

Che fine hanno fatto i quattro vostri pazienti, ospiti della casa della Diocesi?

Hanno trovato per fortuna una sistemazione in strutture adeguate, dove potranno essere assistiti. Siamo in contatto con la Prefettura di Catania e con quei pazienti che riescono a maneggiare un telefonino, per monitorare costantemente la loro situazione. Ringrazio ancora una volta mons. Calogero Peri per la sensibilità che ha dimostrato. Senza il supporto della Diocesi di Caltagirone, i nostri pazienti sarebbero finiti per strada.

© RIPRODUZIONE RISERVATA


Commenta
Il tuo commento verrà pubblicato previa approvazione. Soltanto il nickname sarà visibile a tutti gli utenti.