Pubblicato il 07/02/2019
ATTUALITÀ
ph. Il Sette e Mezzo

Cara di Mineo, ultimo atto



Sembra iniziato il count down per il Cara di MIneo: oggi i primi 44 trasferimenti. Nato il 14 febbraio 2011 per San Valentino, il centro menenino, nelle intenzioni dei suoi mentori, Berlusconi e Maroni, sarebbe dovuto essere un modello di accoglienza in Europa. La sua storia è stata un'altra. Oggi si chiude lentamente  il sipario. E, tuttavia, con questa storia i conti non si chiudono affatto oggi. Non quelli economici, o processuali: i conti con le nostre coscienze sono ancora tutti dolorosamente aperti.


di Giacomo Belvedere


Dunque si fa sul serio. Dopo la falsa partenza a dicembre scorso, quando circa 90 trasferimenti dal Cara di Mineo, decisi dalla Prefettura di Catania, in applicazione del nuovo Decreto Sicurezza, furono “congelati”, in attesa che le acque si calmassero, stamattina sono cominciati i primi trasferimenti dal centro di Contrada Cucinella: un bus con 25 migranti è partito alla volta del Centro di assistenza straordinaria di Trapani.

Un secondo bus, con 19 migranti, si è diretto successivamente verso il Cas di Siracusa e Ragusa. Avrebbe dovuto trasferire 25 ospiti, ma in sei non si sono presentati. È probabile che abbiano deciso di lasciare la struttura volontariamente. Altri sei migranti saranno trasferiti entro dopodomani nei due Csa. Le operazioni si sono svolte senza sussulti degni di nota. Quasi ci si sia rassegnati all'inevitabile. Non si sono ripetute le contestazioni avute al Cara di Castelnuovo di Porto.



Il Cara menenino, un tempo il più grande d'Europa, al centro in passato di furiose polemiche e contestazioni agguerrite, sonnecchia, come un malato terminale in coma farmacologico: la struttura, riferiscono fonti del Viminale, sarà svuotata entro il 2019. Sembra quindi già scritto il copione dell'ultimo atto per il centro menenino, che probabilmente sopravviverà nei ricordi ingialliti del tempo che fu.


Curioso che l'atto di morte sia siglato dal ministro dell'interno della Lega, Matteo Salvini, che pone fine, otto anni dopo, ad una creatura che vide la luce auspice il ministro della Lega Roberto Maroni. La Lega è l'alfa e l'omega del Cara di Mineo, ne ha battezzato l'alba e ne celebra il tramonto. Salvini che, più volte, dal Cara menenino ha lanciato la sua scalata elettorale; ha bisogno oggi del medesimo Cara per propagandare il suo decreto Sicurezza. Il centro di Contrada Cucinella ha una forte valenza simbolica nella strategia del ministro dell'Interno: e dunque la fine della storia dell'ex Residence degli Aranci è segnata, per il Viminale, a prescindere da tutte le considerazioni pro o contro che si possano accampare: quasi a volerne cancellare il peccato d'origine.


Restano tuttavia le perplessità su di una chiusura che sa di programmatico e che appare fine a sé stessa, con un esito assolutamente nichilistico: i migranti sono trasferiti dal Cara al Cas, che non è certo una soluzione alternativa, in nome di un'accoglienza più radicata ed efficace. Tutt'altro: dal limbo semmai si scende all'inferno.

La chiusura del Cara di Mineo, più volte sbandierata, è un punto d'onore per l'inquilino del Viminale, che mai vorrà rinunciarvi: anche se ha messo la sordina alla pistola che dovrà dare il colpo di grazia. Meglio uno svuotamento con il contagocce e senza grancassa mediatica.


Un viale del tramonto inglorioso e malinconico per un centro su cui ha aleggiava l'ombra diabolica di Mafia Capitale: ma di Luca Odevaine, il facilitatore multitasking, chi si ricorda più? Il Cara nenenino sopravviverà ancora, per una sorta di prolungamento artificiale dell'esistenza, nelle aule dei tribunali, in cui ancora fanno il loro corso i processi innescati dalle note inchieste delle procure di Catania e di Caltagirone.

Nessuna prospettiva nemmeno per il personale superstite, ridotto già di due terzi, con 160 dei 299 lavoratori rimasti a casa, dopo che si è eliminata la compresenza degli operatori in turno e si sono ridotti tutti i servizi di integrazione sociale. Del resto, già il 12 ottobre scorso, il sottosegretario agli Interni Carlo Sibilia, del M5S, in visita a Caltagirone, diede ai lavoratori preoccupati una risposta di quelle che tagliano le gambe: “meno migranti, meno operatori”. Come a dire: il Cara nato dall'emergenza non ha più ragion d'essere finita l'emergenza. Con buona pace per chi ha perso il posto di lavoro.


Ed anacronistica e patetica appariva stamattina anche la posizione del sindaco di Mineo Giuseppe Mistretta: il primo cittadino menenino ha invocato le “misure compensative” previste dal cosiddetto Patto per la Sicurezza. Si tratta di un documento sottoscritto tra la Prefettura di Catania, la Provincia di Catania e i 15 Comuni del Calatino, il 28 marzo 2011, al fine di favorire la sicurezza delle comunità locali ed il percorso di integrazione degli stranieri già regolarmente presenti sul territorio, nonché dei richiedenti asilo ospitati nel Cara di Mineo. Un patto, già in passato largamente disatteso, che oggi è morto e sepolto. Appartiene all'archeologia della storia Cara di Mineo. Il Sindaco di Mineo sembra non essersene reso conto. Le “misure compensative” erano previste per ovviare all'impatto che la presenza del Cara - un sedicesimo comune! -, avrebbe potuto avere sul territorio. Ma, tolto di mezzo il Cara, è assai difficile che dal Viminale arrivi un “compenso” risarcitorio, che non ha più ragion d'essere. Questi i fatti nudi e crudi.


Nato il 14 febbraio per San Valentino, il Cara di Mineo, che nelle intenzioni dei suoi mentori, Berlusconi e Maroni, sarebbe dovuto essere un modello di accoglienza, integrazione e ospitalità in Europa, ha avuto tutt'altra storia. Oggi si chiude il sipario. Una chiusura lenta, ma inesorabile. E, tuttavia, con questa storia i conti non si chiudono affatto oggi. Non quelli economici, o processuali: i conti con le nostre coscienze sono ancora tutti dolorosamente aperti.

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