Pubblicato il 02/11/2018
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Caltagirone, Cimitero monumentale

La “festa dei morti”: dolce ossimoro siciliano in via di estinzione?



La “festa dei morti”. Proprio così. Un ossimoro, vale a dire una contraddizione vivente. Una volta, in Sicilia, si trasmetteva ai bimbi un messaggio rassicurante e un rapporto sereno, familiare con la morte. I “morti” ti regalavano piccole gioie: giocattoli e dolci. Un'allegra  “truvatura” destinata ormai a restare nei cassetti della memoria nostalgica?  

di Giacomo Belvedere 

La “festa dei morti”. Proprio così. Un ossimoro, vale a dire una contraddizione vivente. Se ci dicessero che sui morti si può aver ragioni per far festa, diremmo che a qualcuno manca qualche venerdì. Eppure, in Sicilia, si fa così. O, almeno, si faceva così: il 2 novembre, commemorazione dei defunti, era una grande festa della famiglia. I siciliani di un certa età ricordano bene come da bambini si viveva l’attesa eccitata della festa dei morti. Si dormiva con un occhio chiuso e uno aperto, per essere vigili e sorprendere i “morti” che ti portavano i regali. Ma poi, immancabilmente, loro ti fregavano sempre. Nessuna paura, anzi. Si pregustava una felicità nota, eppure ogni anno nuova.


I “morti” che attendevi con trepidazione erano i tuoi cari. Anche quelli che non avevi mai conosciuto, perché quelli morti prima della tua nascita ti insegnavano ad amarli. A sentirli presenti e protettivi.  E poi, dopo la “truvatura” in casa, si usciva con i genitori a far visita ai nonni e agli zii: una caccia al tesoro da cui si tornava carichi di regali. Intanto, senza che qualcuno ti facesse la lezione morale, si cementavano i legami familiari, con i vivi e con i morti. La tradizione della festa dei morti trasmetteva ai bimbi un messaggio rassicurante e un rapporto sereno, familiare, per nulla lugubre con la morte. Quasi fosse un’amica o una sorella, una zia, una nonna, che ti regalava piccole gioie: giocattoli e i dolci dei morti.


I dolci dei morti! Altro delizioso ossimoro. Qualcuno ancora sopravvive sui banconi dei bar o delle pasticcerie e resiste ostinatamente alla devastazione dell’oblio a cui abbiamo condannato la festa: i cosiddetti “bersaglieri”, altrove chiamati “totò”, le “rame di Napoli”, le “ossa dei morti”, i “mustazzoli”, la fantastica frutta di pasta reale. Quasi introvabili, ormai, i pupi di zucchero, le dame e i cavalieri - ricordate? Anche i carabinieri avevano la loro parte. Goduria per la vista e per il palato. Destinati a restare nei cassetti della memoria nostalgica?


Oggi i cari morti sono stati esiliati. La morte è infatti il grande tabù della società moderna. Della morte non si parla laddove vige il culto dell’eterna giovinezza. Eppure, paradossalmente, ce la spiattellano senza pudore ogni  giorno. Sui media imperversa una pornografia della morte, un gusto necrofilo del sangue esibito, della violenza e delle stragi, pane quotidiano per fare audience. Ma non è la “sorella morte” della tradizione siciliana. È semplicemente oscena.


Nelle tragedie greche era osceno tutto ciò che non poteva essere messo in scena: gli orrendi misfatti non apparivano mai nell’azione scenica, li si raccontava. Cruenti matricidi e parricidi, atroci episodi di cannibalismo: tutto veniva mediato dalla parola. Era il “logos” che rielaborava il dolore, lo consolava e aiutava a far fronte al “mostro” che è dietro l’angolo, ma soprattutto è in noi. E si produceva la catarsi, la purificazione dagli istinti belluini e distruttivi, si addomesticava la paura e si educava il popolo alla pietas familiare e civica.

La morte oggi l’abbiamo continuamente davanti agli occhi, ma non ne sappiamo più parlare. Con la serena saggezza dei nostri padri. E allora la esorcizziamo, banalizziamo e rimuoviamo.  

Ridateci i nostri dolci dei morti. Ridateci i nostri morti che ci facevano far festa. Tenetevi pure i vostri patetici dolcetti e scherzetti. Sulla morte si può sorridere e far festa, come ci insegnavano una volta. Ma la morte non è mai uno scherzo.

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