Pubblicato il 12/09/2018
CULTURA
ph. Fabio Navarra

“Country Dark”: nel romanzo di Chris Offutt un Ulisse senza gloria lotta per la sopravvivenza sua e della sua famiglia - VIDEO



Sbarcato a Caltagirone, direttamente da Mantova, dove ha partecipato al festival della Letteratura, lo scrittore statunitense Chris Offutt ha presentato martedì 11 settembre il suo ultimo romanzo: Country Dark, nell'ambito della Scrittori strettamente sorvegliati”, promossa dalla libreria Dovilio di Caltagirone, ormai un appuntamento irrinunciabile, che da tempo ha aperto i suoi orizzonti anche al panorama letterario internazionale. Un punto fermo di sicura qualità nel campo dell'offerta culturale della città della ceramica.


di Giacomo Belvedere

Dopo la pausa estiva, ha ripreso la fortunata rassegna degli Scrittori strettamente sorvegliati” promossa dalla libreria Dovilio di Caltagirone, che si è annunciata da subito con un menu scoppiettante e non ha affatto deluso il pubblico degli affezionati lettori. Da Mantova, dove ha partecipato al festival della Letteratura, è sbarcato a Caltagirone lo scrittore statunitense Chris Offutt, per presentare la sua ultima fatica letteraria: Country Dark, edito da Minimum Fax. L'incontro con lo scrittore, che ha coinvolto e intrigato il numeroso pubblico dei lettori, si è tenuto martedì 11 settembre presso la Libreria Dovilio di Caltagirone. La rassegna è ormai un appuntamento irrinunciabile, che ha saputo nel tempo allargare i propri orizzonti in un'ottica non solo nazionale ma internazionale, e si conferma un punto fermo di sicura qualità nel campo dell'offerta culturale della città della ceramica.


UN ULISSE SENZA GLORIA - "Country Dark" designa in inglese il colore del cielo notturno in aperta campagna, lontano dall'inquinamento luminoso della città. È il colore del paesaggio selvaggio e incontaminato del Kentucky, che fa da sfondo alla vicenda del romanzo. Tucker, il protagonista, torna a casa, dopo essere sopravvissuto alla guerra di Corea. Una guerra sporca che, a differenza di quella del Vietnam, è stata rimossa dalla memoria storica americana. “Era la guerra di Truman, non di Tucker, ma lui aveva ucciso ed era stato quasi ucciso, e aveva visto uomini fatti che tremavano di paura e piangevano come bambini” (p. 12). Non si sa molto dell'esperienza militare di Tucker nella penisola coreana, quasi anche lui volesse rimuovere quei ricordi che gli agitano le notti e tornano come incubi nel sonno: “I suoi sogni erano incubi legati al combattimento, che lo facevano svegliare di soprassalto” (p. 106). Del resto, nemmeno, in Corea aveva dormito sonni tranquilli: “In Corea aveva visto morire degli uomini per aver chiuso gli occhi solo un attimo” (p. 119). Non puoi rilassarti finché sei in pericolo e devi tendere tutti i suoi sensi al massimo. 

Quel che porta con sé è “la sua paga di soldato, quattrocentoquaranta dollari”, “piegata e distribuita in ogni tasca che aveva addosso. Le undici medaglie che aveva ricevuto in fondo allo zaino” (p. 12-13). Tucker è un sopravvissuto alla dura lotta per l'esistenza, nella quale si era sentito “come un pesce in mare, mentre tutto intorno a lui gli altri animali faticavano a restare a galla” (p. 20). La sua arma vincente è stato il duro apprendistato nel boschi sui Monti Appalachi, dove “chi non riusciva a sopravvivere”, “non meritava neppure di respirare” (p. 30).


Tucker è un perfetto animale da combattimento, lucido e spietato, all'occorrenza. “Adesso Tucker si svegliò affamato e nel Kentucky, per un attimo disorientato, convinto che le colline e i fitti boschi fossero i resti di un sogno, e di essere ancora in Corea. Accese un sigaretta e si rilassò, in quel paesaggio familiare. Lo Svedese era morto. Due terzi degli uomini che conosceva erano morti. Tucker attribuiva la propria sopravvivenza a una combinazione di fortuna e astuzia. Era più svelto a sparare. Nel corpo a corpo era sempre il primo a colpire” (p. 29).

Il ritorno in patria di questo Ulisse moderno senza ricordi e e senza gloria è carico di nostalgia. “Tucker aveva sentito la mancanza della nuda distesa del cielo notturno, del grappolo delle Sette sorelle, della spada di Orione e dell'Orsa maggiore, che indicava il Nord […]. Era nero come la pece, come è sempre in campagna. Chiuse gli occhi, sentendosi al sicuro” (p. 21). È un'illusione. Dovrà ancora lottare con le unghie e con i denti per difendere ciò a cui tiene: gli affetti familiari. Perché Tucker sa essere un feroce assassino senza pietà, ma anche un padre dolcissimo e amorevole, soprattutto con tre dei suoi figli, che sono nati con gravi handicap. Per loro è disposto a guadagnarsi da vivere come contrabbandiere di alcol, ad andare in prigione per salvare gli sporchi affari del boss locale per cui lavora, e persino ad uccidere.

Quando nel 1971 esce di prigione, “aveva trent'anni ma se ne sentiva sessanta”, e ha dovuto ancora una volta lottare strenuamente per la sopravvivenza, senza cedere alle subdole sirene della nostalgia: “In prigione, Tucker aveva resistito all'impulso di immaginare il proprio ritorno. Era un'abitudine pericolosa, che rendeva meno vigili. Aveva visto cosa provocava in certi uomini; era il primo passo verso la disperazione. Ogni tre o quattro mesi, tuttavia, si arrendeva anche lui: sua moglie, aggraziata, radiosa, i bambini miracolosamente guariti dalle malattie, Jo prima della classe. Whisky alto e sicuro di sé” (p. 191).



OBIETTIVITÀ E PIETAS - Chris Offutt racconta con obiettività e compassione, senza indulgere alla facile retorica. La sua prosa è asciutta e tagliente come una lama, ma sa essere anche carica di uno struggente lirismo che fa male. Il narratore, esterno alla storia, osserva i suoi personaggi muoversi senza giudicarli. Magistrali sono le pagine in cui si raccontano gli episodi di violenza: Offutt registra con ciglio asciutto le mosse dei “duellanti”, che giostrano come in una complicata partita di scacchi in cui se sbagli mossa o ti distrai sei finito. Sbaglierebbe, tuttavia, chi vedesse in queste pagine la proposizione ammirata di una violenza gratuita fine a sé stessa. Tucker non agisce mai per offendere, ma sempre in difesa del proprio territorio. Il suo è un ethos ferino e animalesco, piuttosto che umano, che tuttavia ha regole precise e assai vincolanti. E benchè sembri dettato dall'istinto, muove da ragioni profonde: “Molti detenuti eran reduci della Corea e della Seconda guerra mondiale, addestrati a somministrare violenza ma non a controllarla. A volte Tucker si domandava se anche lui ricadesse in questa categoria, ma la metà degli uomini erano squinternati come vecchie baracche, e altri erano stupidi come capre” (p. 153).



L'ethos di Tucker si esprime mirabilmente in quella sorta di “favole esopiche” che vedono protagonisti i procioni, i gamberi, gli scoiattoli, e che la notte, Tucker, di solito di poche parole, racconta al figlio idrocefalo Big Billy, convinto che possa capirlo. Sono pagine straordinarie per l'intenso lirismo misto a un realismo semplice e immediato: è una morale che attinge le lezioni dalla natura. Ed ha la sua regola d'oro: “fatta d'oro perché così puoi seguirla anche di notte” (p. 106). È la regola non scritta che impone il rispetto del territorio altrui, se vuoi preservare  tuo. Come Tucker ha imparato dal padre, che delimita il campo in due parti esattamente uguali,  assegnandole una ai procioni e una a sé. Solo se l'altro sgarra e invade il mio campo lo uccido. Ma anche l'altro ha diritto al suo campo. i procioni lo capiscono, gli uomini no. Un ethos naturale che vieta le sofferenze inutili e gratuite e la violenza predatoria. Tanto è vero che, quando le armi non gli servono più, Tucker se ne disfà senza rimpianti. 


Esemplare la lezione di vita che Tucker dà all'ultimo figlio, da lui soprannominato Whisky, per il colore dei capelli. «“Dicevano che in galera ci va solo gente cattiva”. “Hai paura che io sia cattivo? Disse Tucker. “No” rispose in fretta il bambino, e poi distolse lo sguardo. “Figliolo, in prigione c'è gente di tutti i tipi. Buoni e cattivi. La maggior parte sono solo sfortunati”. “E tu quale eri?”. “ero un po' tutti e tre, una via di mezzo. Come quasi tutti”. “Mezzo buono e mezzo cattivo?”. “Proprio così”. “Ma come si fa a essere mezzo sfortunato?”. “Lo siamo tutti, quasi sempre. La gente non sa di essere fortunata finché la sfortuna non le viene addosso”» (p. 202). Nessun manicheismo semplicistico, dunque, ma una profonda empatia per gli uomini sfortunati. In un mondo in cui i percorsi verso la trascendenza sono interrotti, è madre natura che parla alla coscienza: «Il bambino voleva sapere che differenza ci fosse tra le stelle, i pianeti, la luna. “Sono tutti la stessa cosa, secondo me” disse Tucker. Loro sono lassù e noi siamo quaggiù. Non ci sono strade, in un senso e nell'altro”» (p. 193).


L'AUTORE - Chris Offutt, nato a Lexington, Kentucky il 24 agosto 1958, vive e lavora a Oxford, nel Mississippi Oltre alle raccolte di racconti Nelle terre di nessuno, con cui ha esordito nel 1992, e Out of the Woods, ha scritto un romanzo, The Good Brother, e tre memoir: The Same River Twice, No Heroes: A Memoir of Coming Home, e My Father, the Pornographer. Ha lavorato come sceneggiatore per il canale via cavo HBO, nelle serie televisive True Blood e Weeds. Ha ricevuto, nel 1996, il Whiting Award per la narrativa e la saggistica, ed è stato incluso da Granta tra i venti migliori narratori delle ultime generazioni.

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