Pubblicato il 25/08/2016
INCHIESTA

Raid San Cono: ecco perché il Gip non ha creduto alla legittima difesa




di Giacomo Belvedere


Misura cautelare degli arresti domiciliari e braccialetto elettronico: è quanto ha deciso il Gip del Tribunale di Caltagirone, Ettore Cavallaro, dopo l’udienza di convalida dell’arresto o del fermo di indiziato delitto dei tre giovani sanconesi, Antonino Spitale, di 18 anni, e i fratelli Giacomo e Davide Severo, di 32 e 23 anni, su cui pende l’accusa del raid punitivo contro quattro minori egiziani (due sedicenni e due diciassettenni), ospiti del CPA di S. Michele di Ganzaria. Il Gip non ha convalidato il fermo per insussistenza del fondato pericolo di fuga previsto dall’art. 384 cpp, in quanto «i tre indagati sono stati rinvenuti nelle rispettive abitazioni dopo alcune ore dai fatti addebitati», sono incensurati e in giovane età. Ma ha ritenuto di applicare tuttavia la misura cautelare del braccialetto elettronico, perché «sussistenti gravi indizi di colpevolezza a carico di tutti gli indagati per il tentato omicidio di M.M.».

Il drammatico episodio è avvenuto sabato scorso, quando il sole meridiano si alzava alto sulle colline ondulate riarse, tra la macchia mediterranea e i fichidindia, vanto dell’economia locale, sulla strada che da San Cono porta a S. Michele di G. Uno dei giovani M.M., 16 anni, ha riportato, secondo  il referto medico un politrauma da aggressione, con trauma cranico e fratture dell’osso temporale pluriframmentata e dell’ulna sinistra, più ferite lacero contuse ed è stato, date le sue condizioni apparse da subito assai critiche, dal momento che  vomitava anche sangue dalla bocca, trasportato d’urgenza dal “Gravina di Caltagirone al “Garibaldi Nesima” di Catania, dove ha subito un delicato intervento neurochirurgico di rimozione di un consistente ematoma cerebrale. Ieri è uscito dal coma farmacologico, ed è in lenta ripresa. Il  ragazzo è ancora in prognosi riservata ed è presto per dire se e in quanto tempo recupererà. Gli altri tre giovani hanno riportato lesioni giudicate guaribili in cinque giorni.

In questa terra di Sicilia, patria di Gorgia e Pirandello, in cui i confini tra verità e menzogna appaiono spesso labili, sfuggenti e cangianti, il Gip traccia una netta linea di demarcazione: le deposizioni rese dai tre indagati, che puntavano sulla legittima difesa, sono apparse al Gip incoerenti e non prive di falle e contraddizioni. La versione dei fatti fornita dai tre indagati «non appare credibile in quanto sfornita di elementi di prova e anzi nettamente in contrasto con quanto può facilmente verificarsi attraverso la visione del filmato». Le immagini e le conversazioni che si evincono dal video registrato con lo smartphone da uno dei minori, «screditano in radice le dichiarazioni  dei tre indagati».

SPEDIZIONE PUNITIVA… – Il giudice ha ritenuto, invece, le deposizioni dei tre minori interrogati  «intrinsecamente attendibili per logicità e coerenza dei racconti scevri peraltro di contraddizioni che si riscontrano reciprocamente» anche con i referti medici e il materiale documentale fotografico e video.

Secondo quanto raccontato dai minori egiziani, ci sarebbe stato un vero agguato nei loro confronti. Di ritorno dal mercatino rionale di San Cono, nei pressi del CPA, avrebbero trovato ad attenderli un’autovettura di colore nero dalla quale è sceso Antonino Spitale, con in mano una mazza e un mattone. Successivamente, l’auto sarebbe stata affiancata da un’altra auto di colore bianco, da cui sono scesi i due fratelli Severo: Davide, con una pistola da softair nella destra e una mazza da baseball nella sinistra, e Giacomo, armato di una mazza da baseball. I tre hanno iniziato a colpire ripetutamente  e furiosamente i quattro minorenni, accanendosi, in particolare, contro M.M. colpendolo al capo con le mazze da baseball e col calcio della pistola. Compiuta l’aggressione i tre si sono allontanati velocemente a bordo delle due autovetture, condotte da altri due giovani non ancora identificati. La pistola ad aria compressa è stata poi ritrovata a casa di Giacomo Severo. A sostegno di questa versione dei fatti, c’è il video registrato da una delle vittime e consegnato ai Carabinieri,  che si riscontra con le deposizioni rese dalle parti offese.

È il video – per il Gip – la prova principe che inchioda alle proprie responsabilità i tre indagati. Nel filmato si vede Davide Severo mentre punta la pistola contro le vittime, impugnando con l’altra mano una mazza da baseball, e non curandosi dell’esortazione alla calma di uno dei minori, che protesta di non sapere parlare italiano, con “atteggiamento palesemente minaccioso e parole di sfida”, chiede a Spitale: «vieni tu… questo qua è?»; quindi, mentre si sente «spara, spara», comincia a colpire gridando: «pezzi ri merda siti, vi ‘nnata a ghiri ri ca, non ati a veniri chiù no paisi». Nel frattempo, il fratello Giacomo insegue una delle vittime con una mazza in mano. Quindi si sente l’esortazione a scappare, dopo aver colpito gravemente le vittime («au amuninni»).

IL VIDEO DELL’AGGRESSIONE


… O LEGITTIMA DIFESA? – La linea difensiva dei tre aveva invece cercato di avvalorare la tesi della legittima difesa, anche per far cadere l’ipotesi più grave della premeditazione. «Sulla stampa abbiamo letto – ha dichiarato il legale dei tre, avvocato Pietro Marino  – di incidenti stradali, pallonate, cinghiate. Sono tutte cose fuori dalla realtà. Non c’è stata alcuna premeditazione, perché – ribadisce – non ci sono precedenti, ma soltanto un fatto congiunturale». Tesi in contrasto con quanto si legge sui social, dove le voci alzatesi a difesa dei tre alludono a episodi pregressi, come movente della spedizione punitiva, tra cui ci sarebbero il pestaggio di un diciassettenne, R., che sarebbe stato picchiato da sei egiziani la sera di mercoledì 17 agosto, e una pallonata al passeggino del figlio di uno dei tre aggressori. Episodi mai denunciati e di cui non c’è traccia negli atti dell’inchiesta. Un altro movente spunta invece dalle carte: si parla di “discussioni” sorte in precedenza, a causa  di un presunto danneggiamento a un’auto, opera dei minori egiziani, subito da uno dei giovani indagati.

I tre indagati sostengono, come s’è detto, la tesi della legittima difesa. Spitale ha dichiarato di essersi recato a piedi sul luogo dei fatti per incontrare il nonno, proprietario di una campagna attigua al bivio Gigliotto e di essere stato aggredito lì, senza alcun motivo, da alcuni cittadini extracomunitari «visti poco prima litigare fra loro e di avere notato uno di questi piegato sul fianco, come sofferente», e, quindi, di aver ricevuto l’aiuto dei due fratelli Severo  sopraggiunti per caso sul posto.

Anche i due fratelli Severo si sono professati assolutamente estranei a fatti contestati, dichiarando di aver difeso il compaesano Antonino Spitale dall’aggressione perpetrata ai suoi danni da alcuni extracomunitari. I fratelli Severo hanno riferito «di aver notato nei pressi del bivio Gigliotto Antonino Spitale che veniva aggredito da un gruppo di stranieri e di essere accorsi in suo aiuto». Giacomo Severo sarebbe sceso dall’auto disarmato e Davide Severo con in mano la pistola giocattolo. I minori, invece, brandivano mazze da baseball, bastoni e bottiglie rotte, ma, vista la pistola, impauriti, hanno lasciato per terra le mazze, che i Severo dichiarano di aver impugnato solo al fine di far allontanare gli aggressori. Gli indagati hanno riferito di «non conoscere le cause delle lesioni refertate ai quattro ragazzi egiziani, escludendo categoricamente di averli colpiti e di aver notato soggetti sanguinanti o feriti».

IL GIP: LE PROVE CHE SCREDITANO LA LEGITTIMA DIFESA – Come s’è detto, il Gip, sentite tutte le parti e visionato il materiale documentale, ha ritenuto di applicare la misura cautelare del braccialetto elettronico, perché vi sono «sussistenti gravi indizi di colpevolezza a carico di tutti gli indagati per il tentato omicidio di M.M.» Le immagini e le conversazioni che si evincono dal video registrato con lo smartphone da uno dei minori, «screditano – secondo il Gip – in radice le dichiarazioni  dei tre indagati». Inoltre la versione dei fatti fornita dai tre «non appare credibile in quanto sfornita di elementi di prova e anzi nettamente in contrasto con quanto può facilmente verificarsi attraverso la visione del filmato», da cui si evincono comportamenti degli indagati che «appaiono – secondo il Gip –assolutamente incompatibili con un atteggiamento difensivo», né con la dichiarazione dei tre, che hanno affermato di non aver colpito alcun giovane extracomunitario né di aver notato soggetti feriti. Altra contraddizione nella versione dei tre è che «non abbiano riportato alcuna lesione», a differenza dei minori egiziani, che invece sono stati conciati in malo modo: elemento incompatibile con la tesi della legittima difesa da un’aggressione ricevuta dagli egiziani. Aggressione, peraltro, non denunciata alle forze dell’ordine.

Ed è inoltre poco credibile, secondo il giudice, che dei minori stranieri possano permettersi di comprare mazze da baseball di consistente valore economico. E sulle mazze da baseball c’è  un piccolo giallo. I tre hanno  dichiarato di aver lasciato le mazze sul posto, ma ci sarebbe un’informativa dei Carabinieri, che riferiscono di aver accompagnato la sera del 20, intorno alle 21, “su espressa richiesta” di Davide Severo, lo stesso in contrada San Cono Sottano, in un canneto, luogo «in cui aveva disperso le mazze da baseball», senza tuttavia trovare alcunché. Un’altra contraddizione nell’impianto difensivo, che dovrà essere  spiegata.

TRA LE AGGRAVANTI PREMEDITAZIONE E DISCRIMINAZIONE RAZZIALE – Ricorrono dunque – secondo il Gip calatino – gli estremi del tentativo di omicidio, con le aggravanti della premeditazione del fatto, che per il magistrato ha tutti i connotati di un agguato programmato, con la seconda macchina alle spalle delle vittime per tagliare la via di fuga; dei futili motivi, essendo l’aggressione «nata dal fatto che uno degli aggressori riteneva che una delle vittime avesse danneggiata la propria autovettura, apparendo pertanto un mero pretesto privo di qualsiasi riscontro»; infine della finalità di discriminazione di sfondo razziale ed etnico, che per il giudice appare chiara «dalle espressioni utilizzate dagli indagati, finalizzate ad allontanare una categoria di soggetti non appartenenti al c.d. “paese”, dunque extracomunitari».

Intanto i Carabinieri sono sulle tracce dei due autisti, ancora irreperibili. Le mazze da baseball non risultano finora essere state ritrovate. 

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