Pubblicato il 09/01/2017
INCHIESTA

Cara, dolce Cara: i bei tempi in cui in Sicilia non si vedeva e da Roma si benediceva




Travolto da numerose inchieste giudiziarie, il centro menenino resiste a tutti gli urti, arroccato in Contrada  Cucinella come per un destino ineluttabile. Eppure, anche prima delle inchieste, bastava guardar bene per accorgersi che qualcosa non andava. Ma non si volle vedere.


di Giacomo Belvedere


DOSSIER [qui la seconda parte e terza parte] – Forse vero non è, ma ci fu un tempo in cui sul Cara di contrada Cucinella in quel di Mineo, non indagavano tre Procure, Roma, Catania e Caltagirone, né pendeva più di un procedimento giudiziario, ma del centro si dicevano solo meraviglie. Un’isola felice, quella del Villaggio della Solidarietà, come pomposamente lo si chiamò, in cui si accoglievano degnamente i migranti e si davano tanti posti di lavoro agli abitanti del luogo. Una perla nel panorama dell’accoglienza italiano, travagliato invece da inefficienza e problemi a non finire. Una favola bella raccontata persino in un docufilm, Io sono io e tu sei  tu, in cui si narra come, grazie all’amicizia con un ragazzo di colore ospite del Cara, un bambino muto ritrovi la parola e l’affetto del padre. E anche il padre guarirà dai suoi pregiudizi, si aprirà alla solidarietà e ritroverà l’affetto perduto del figlio. Il Cara dei miracoli dunque: ridona la parola ai muti e sana le ferite del cuore e della mente. Da consigliare come terapia. Il film era stato sponsorizzato e prodotto dalla Fondazione Integra, una costola derivata da Sisifo e Sanicop, società etnea di cui il consorzio Sisifo detiene il 30%. Sisifo è la coop capofila della società consortile che gestiva il Cara di Mineo, di cui facevano parte il “Consorzio Sol.calatino Società Cooperativa Sociale”, “La Cascina Global Service s.r.l.”, la “Senis Hospes Società Cooperativa Sociale”, la “Casa della Solidarietà Consorzio di Cooperative Sociali”, l’Associazione Italiana della Croce Rossa” e l’“Impresa Pizzarotti & C. s.p.a.”. Vale a dire la task force di coop capace di sbaragliare sempre a colpo  sicuro la concorrenza in tutti i tre appalti per la gestione del centro. Appalti “cuciti” su cui oggi le Procure vogliono vedere chiaro. Ma, allora, nella primavera del 2014, quando maturava l’idea del mega appalto triennale da 98 milioni, tutto andava a gonfie vele. Un appalto triennale, rinnovabile, evitava di doversi barcamenare con proroghe infinite, come successe nel 2013. E poco importava alla stampa, locale e nazionale, il fatto, segnalato in un nostro articolo, che a capo di Integra ci fosse Salvo Calì: sì, proprio il presidente di Sisifo, diventato il celebre convitato di pietra nel pranzo a tre, con Luca Odevaine e il sottosegretario Giuseppe Castiglione, in cui, secondo la deposizione del faccendiere romano si decisero le sorti del  Cara di Mineo.

ODEVAINE, IL SUPER ESPERTO – Odevaine, del resto, era considerato un insospettabile e osannato esperto in migrazione, tanto che si ritenne indispensabile la sua qualificata presenza in tutte e tre le commissioni per l’aggiudicazione degli appalti al Cara. Oggi tutti fanno finta di non conoscerlo o di aver avuto con lui rapporti solo episodici, persino chi lo volle al Tavolo nazionale per l’Immigrazione e al Cara di Mineo. Odevaine, che sotto il tappeto lustro nascondeva la polvere di precedenti con la giustizia che aveva abilmente occultato cambiandosi il cognome, allora era invitato dalla Camera dei Deputati per tenervi il 5 luglio 2012 una relazione sul fenomeno migrazione. Tra i relatori persino, in videoconferenza, Zygmunt Bauman, il teorico della società liquida postmoderna. Per dire a che livello si riteneva fosse il  curriculum che poteva vantare Odevaine.  E pazienza se dalla sua eccelsa sapienza ed esperienza sul campo non venisse altro che il suggerimento di utilizzare gli ospiti per la raccolta delle arance nella Piana di Catania. Idea non certo geniale che desta dubbi sulla competenza del super consulente. Ma tant’è.

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LE VOCI FUORI DAL CORO – In verità, qualche sporadica voce fuori dal coro si ebbe, qualcuno che vide quello che altri non vedevano, ma fu sommerso dagli applausi di entusiastica approvazione. Il quotidiano cattolico «Avvenire», nell’aprile del 2012, in seguito alla visita del  vescovo di Caltagirone mons. Calogero Peri al centro di contrada Cucinella, durante la peregrinazione dell’icona della Madonna dl Ponte, pubblicò un’inchiesta in cui si denunciavano prostituzione e aborti sospetti all’interno del centro. La Procura di Caltagirone, allora retta da Francesco Paolo Giordano (oggi a Siracusa), aprì per atto dovuto un fascicolo, con l’ipotesi di sfruttamento della prostituzione ma la cosa finì lì, senza conseguenze, indolore.

Eppure il sospetto che il centro, così come lo si era concepito, non potesse funzionare, sarebbe dovuto venire a qualcuno. Lo disse, inascoltato, il vescovo calatino, che a proposito delle endemiche proteste nel centro menenino dichiarò: «Questi episodi sottolineano evidentemente che qualcosa non va». Cosa non andava? Nel 2013, pubblicammo un corposo dossier sul Cara di Mineo in tre puntate, in cui, dati alla mano, sostenevamo che, il Cara, non fosse altro che per le sue dimensioni. era una «bomba umanitaria». «Il Cara di Mineo – scrivevamo – è il più grande d’Europa. Al di là, dunque, del pur lodevole impegno dei singoli, tende a produrre strutturalmente dinamiche distorte e a perpetuare piuttosto la logica della segregazione e del ghetto che quella dell’accoglienza e dell’integrazione». Senza contare che dimensioni così grandi dovevano gioco forza suscitare gli appetiti per gli enormi interessi in gioco: «Un appalto di così rilevante importo – ci rivelò il procuratore Verzera nell’intervista di luglio 2015 – la gestione di somme di denaro ingentissime implicano che politici del posto facciano il possibile per poter governare un piccolo comune che gestisce una situazione economica così impressionante. E quindi è chiaro che la ricerca del consenso popolare per prendere la poltrona di sindaco, di assessore sia fortissima».

La poltrona a cui si allude è quella del comune di Mineo, un piccolo centro del calatino travolto da interessi più grandi di lui. Il sindaco è Anna Aloisi. Eletta a furor di popolo alle elezioni comunali del 9 e 10 giugno 2013, in una lista civica nata dal Pdl e sponsorizzata da Paolo Ragusa, esponente locale del NCD, sindacalista Uil, coop manager, e presidente di una delle coop del sistema Cara, Sol.Calatino. Aloisi nel 2013 diventa presidente del Consorzio dei Comuni Calatino Terra d’Accoglienza (e per questo suo ruolo è indagata in più di un’inchiesta), costituitosi il 28 dicembre 2012, con il nome inziale – poi cambiato – di “Calatino Terra di solidarietà, per sostituirsi al soggetto attuatore del Cara di Mineo, il presidente della provincia di Catania Giuseppe Castiglione, luogotenente del NCD in Sicilia del ministro Angelino Alfano. Consorzio poi assurto al rango di stazione appaltante. Ma se oggi le inchieste di Catania e Caltagirone gettano ombre su appalti truccati, compravendita di voti e di assessori, cerchio magico di coop costantemente favorite, truffa del badge con presenze gonfiate al centro, allora pochi videro o vollero vedere.

DAL VIMINALE DIFESA A OLTRANZA  Il Cara sembra in corsia preferenziale, in una botte di ferro e benedetto dal Viminale, persino dopo che, all’inizio di dicembre 2014, il tappo del vaso di Pandora era saltato con l’arresto di Odevaine nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale. Un’inchiesta che per effetto domino coinvolge anche le Procure di Catania, retta da Salvi, e di Caltagirone, guidata dal nuovo procuratore Verzera, che, appena arrivato nella città della ceramica, si mette subito al lavoro sul “caso Cara. Eppure, nonostante la stretta delle Procure si facesse sempre più stringente, e lo stesso nuovo capo dell’Authority Anticorruzione, Raffaele Cantone, avesse sollevato più di un dubbio sulla legittimità dell’appalto da 97 milioni, dal Viminale giunge una difesa ad oltranza. È come se Cantone, il rompiscatole, avesse rotto un equilibrio prima mai messo in discussione. Prima di lui, l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (Avcp), composta dal presidente Sergio Santoro e dai consiglieri relatori Piero Calandra e Alfredo Meocci, ex Direttore generale della Rai, aveva, infatti, ritenuto la disciplina di gara predisposta dal Soggetto Attuatore per la Gestione del Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo di Mineo «conforme alla normativa di settore». Un giudizio dato tuttavia da un’Authority presto spazzata via dai guai giudiziari di alcuni suoi consiglieri, e accusata di scarso attivismo sugli appalti pubblici. Su Mose e Expo insomma era stata un po’distratta.

Dopo l’entrata a gamba tesa di Cantone, il Viminale decide di mettersi di traverso, nonostante le inchieste della magistratura suggerissero piuttosto prudenza. Ma, che il Cara di Mineo fosse sotto una sorta di tutela del Ministero dell’Interno, in Prefettura a Catania lo si sapeva da sempre. Come vedremo in un successivo articolo di prossima pubblicazione, c’era un “clima” favorevole, una “forte sollecitazione” che aveva premuto in direzione di un’unica gara di appalto la cui gestione dovesse essere affidata al Consorzio dei Comuni. Ciò, nonostante qualcuno all’interno dello stesso Viminale, al massimo livello, fosse contrario ed esprimesse dubbi. Dopo che il caso Odevaine è scoppiato, il 25 marzo 2015, come rivelato da «Il Sette e Mezzo», il prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione del Viminale, attacca l’Anticorruzione: «I magistrati decideranno se c’è stata o no una qualche opacità nella nascita di Mineo – dichiara Morcone –, se nella gara il Consorzio si è comportato bene o male, ma dico una cosa che non piacerà: ho qualche dubbio sulla decisione del presidente Cantone, che peraltro conosco, apprezzo e stimo moltissimo». Un complimento che appare stonare e a cui segue subito dopo l’affondo polemico: «A noi hanno detto sempre che il total care, il general contractor, era la soluzione delle soluzioni, che si risparmiava, ora improvvisamente per un contratto del 2013 si è stabilito che è stata impedita la partecipazione alle piccole e medie imprese». Se si è fatto sempre così, perché ora si cambia? – sembra dire Morcone. Una linea di difesa as?sunta in toto dal Consorzio dei Comuni e dal suo direttore generale Giovanni Ferrera. Quasi suggerita dal Viminale. «Va bene, decidessero loro quel che vogliono fare – sbotta il prefetto, che si smarca -, «noi non c’entriamo, è un problema che riguarda il Consorzio. Però su queste cose bisogna stare un po’ attenti – raccomanda infine Morcone – perché ci sono sicuramente aspetti di opacità ma anche gente tanto per bene».

Il resto è storia risaputa di questi giorni.

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Continua…

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