Pubblicato il 19/05/2017
INCHIESTA

Nuovo Cara di Mineo: tutto cambia. Forse



Al Cara di Mineo è cambiata la musica? Sono cambiati alcuni orchestrali. Ma lo spartito da suonare – il nuovo appalto – non c’è. E “il contratto continua ancora con il gestore di allora, sia pure con i commissari nominati dal Prefetto” (Cantone).
 di Giacomo Belvedere

[Qui la prima parte] Forse è presto per dire se sul Cara di Mineo è cambiata la musica. Indubbiamente sono cambiati alcuni orchestrali. Ma lo spartito da suonare non è stato ancora presentato. Sono scomparse dalla scena alcune figure prima centrali nella storia del mega centro menenino: il faccendiere factotum Luca Odevaine; il sottosegretario on. Giuseppe Castiglione, che del Cara fu, in quanto presidente della provincia di Catania, soggetto attuatore; la sindaca di Mineo Anna Aloisi, ex presidente del defunto Consorzio dei Comuni “Calatino Terra d’Accoglienza”, che divenne stazione appaltante ed ebbe in carico l’appalto da 98 milioni finito sotto l’occhio della magistratura; Giovanni Ferrera, già direttore generale del Consorzio dei comuni; Paolo Ragusa, dimessosi dalla presidenza di Sol.Calatino. Tutti coinvolti, a vario titolo, in inchieste giudiziarie, sull’asse dele Procure di  Roma-Catania-Caltagirone, alcune già a processo.

Oggi il centro è sotto gestione commissariale: il presidente del Consorzio “Nuovo Cara Mineo”, è Giuseppe Caruso, docente universitario di Economia a Catania, supportato da Giuseppe Di Natale, amministratore delegato del consorzio.

A loro si è arrivati dopo una serie di nomine e contro-nomine e di intricatissime vicende. Il Consorzio “Casa della Solidarietà” e la coop “La Cascina”, capofila della Rti vincitrice dell’appalto milionario, finiti nella bufera di Mafia Capitale,  furono commissariati il 23 giugno 2015, su proposta del presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone, dal Prefetto di Catania Maria Guia Federico, che nominò commissario straordinario per l’appalto a Maria Nicotra, avvocato dello Stato in quiescenza, a cui furono affiancati, l’8 luglio 2015, l’avv. Rosanna Castelli e il dott. Salvatore Toscano. Ma, pochi giorni dopo, il 15 luglio la Nicotra rinunciò all’incarico “per motivi personali”.  Il 17 luglio il Prefetto etneo nominò tre commissari: l’avv. Giuliano Fonderico, l’avv. Rosanna Castelli e il dott. Giuseppe Davide Caruso. Nomine che, nemmeno un mese dopo, il 10 agosto, furono sospese dalla Prefettura, in seguito a un decreto del Tribunale di Roma del 27 luglio 2015. Il 29 luglio 2015, infine, in considerazione del ripristino della misura della straordinaria e temporanea gestione del Consorzi delle coop sociali “Casa della Solidarietà” e della coop “La Cascina”, la Prefettura riconfermò Giuseppe Caruso quale amministratore straordinario, dopo aver sentito anche gli altri due componenti della terna prefettizia, che però preferirono declinare l’incarico. A Caruso, come s’è detto fu affiancato Giuseppe Di Natale, come amministratore delegato del consorzio.  


I “BUCHI” DEL CARA – Inoltre, il 30 novembre 2015, al Cara di Mineo, si è insediata una “Struttura di missione” per la gestione diretta del Cara di Mineo, con il compito di supportare la prefettura nell’attività di controllo e monitoraggio della gestione del centro e, aspetto di particolare interesse, nella predisposizione del nuovo bando di gara.

Responsabile della Struttura è il Viceprefetto Giuseppa Di Raimondo, supportata dal Viceprefetto aggiunto Francesco Milio. Una task force composta dai due prefettizi competenti sulla Struttura, più altre cinque figure, che ha rilevato non poche criticità: sul controllo delle presenze al centro, ad esempio, è stato  finalmente ottenuto, dopo un paio di mesi, di regolare l’uscita degli ospiti. Per regolamento gli ospiti possono uscire –regolamento uguale per tutti i centri d’accoglienza d’Italia – dalle 8 alle 20. Di fatto, però, non c’era alla porta h24 un operatore, che rilevasse tramite badge l’uscita e l’entrata. Ma ha ammesso la Di Raimondo, audita dalla Commissione Migranti presso la Prefettura di Catania, l’8 luglio 2016,  resta il problema di una «una rete fatiscente, perché questo è un CARA che è stato fatto per il villaggio degli americani. Ci sono 3.000 persone e c’è chi entra e chi esce anche dalle reti. Questo esiste».

Gli orari di entrata e uscita più stringenti hanno, in qualche modo contenuto, ma non eliminato, il fenomeno del caporalato, «su cui – confessa la Di Raimondo – non so rispondere, perché non faccio parte delle forze dell’ordine. Indubbiamente però esiste. Ce ne accorgiamo. Prima non c’era il divieto di uscire prima delle 8 e alle 6 c’erano persone che uscivano e andavano a lavorare in nero nei campi. Oggi ci sono macchine che li aspettano alle 8-8.30. Indubbiamente questo problema del lavoro in nero c’è. Duecento o trecento persone che vanno a lavorare nei campi ci saranno».

I buchi non erano però solo fisicamente nella rete: era tutto il sistema di controlli che era un colabrodo. La task force ha chiesto l’elenco dei fornitori: «Nessuno l’aveva mai chiesto» – ammette sconsolata Di Raimondo. «A noi hanno fornito – continua – l’elenco per tutte le imprese e i vari settori di erogazione di servizi: manutenzione, mensa, Croce Rossa, assistenza e via continuando. Ce l’hanno mandato e noi l’abbiamo mandato alla prefettura per una verifica a campione».

ARIA NUOVA A ROMA? – Ma anche a Roma ci sono stati avvicendamenti al Viminale, ministero da cui dipende la complessa gestione del fenomeno migratorio: ad Alfano è subentrato il ministro Minniti, e al Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno il prefetto Morcone, che aveva avuto a che ridire sull’operato del presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone, è stato sostituito dal prefetto Gerarda Pantalone, che ha subito dichiarato, in Commissione Migranti il 16 marzo 2017, che, , riguardo al centro di Mineo, «come tutti i centri grandi è nostro intendimento riuscire ad avere degli alleggerimenti. Non è una buona gestione quella dei grandi centri, non fa bene agli stessi migranti, non fa bene ai territori, non fa bene a nessuno».

Il nuovo capo del Dipartimento Immigrazione è sembrato voler marcare una linea di discontinuità col passato. Sugli appalti, ad esempio, il Viminale appare oggi allineato sulla posizione dell’Anticorruzione di Raffaele Cantone, su cui in passato c’erano state le critiche e riserve, e si assiste a un’inversione di tendenza: lo schema di capitolato a cui si è lavorato, è stato visionato anche da Cantone, accogliendone suggerimenti e osservazioni, e non prevede più un gestore unico (ma la suddivisione in lotti prestazionali), né tantomeno il Consorzio come stazione appaltante.

Il decreto con il nuovo schema di capitolato per gli appalti per la fornitura di beni e servizi relativi alla gestione e al finanziamento delle strutture di accoglienza dei migranti è stato firmato il 7 marzo dal ministro Marco Minniti. Il documento, si legge nella nota apparsa nel sito ministeriale, «ha recepito tutte le indicazioni fornite dall’ANAC sulle procedure e i protocolli di affidamento delle gare di appalto sulla gestione dei centri di accoglienza» e «rappresenta uno strumento innovativo per supportare l’operato dei Prefetti ed assicurare l’uniformità delle procedure e la tutela dell’imparzialità e della trasparenza, in aderenza ai principi dell’economicità e della concorrenza».

Queste le principali novità:

– il superamento della figura del gestore unico e la suddivisione dell’appalto in quattro lotti prestazionali: servizi alla persona, comprensivi di mediazione culturale, assistenza sanitaria, sociale e psicologica, somministrazione di pasti e generi alimentari, servizio di pulizia ed igiene ambientale e fornitura di beni;

– la tracciabilità dei servizi con l’aggiudicazione dell’appalto all’offerta economicamente più vantaggiosa,  individuata secondo il miglior rapporto qualità/prezzo, premiando la componente qualitativa e scoraggiando gli eccessivi ribassi;

– la previsione di una clausola sociale finalizzata a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, creando una positiva correlazione con l’accoglienza dei migranti;

– il rafforzamento delle attività di ispezione e monitoraggio del Ministero dell’Interno sugli standard qualitativi dei servizi resi.

Sono linee che, se attuate a Mineo, farebbero saltare il “teorema Odevaine”, la “cosa grossa”, il raggruppamento di un’invincibile armata di coop, alleate in una sorta di larghe intese dalle “rosse” alle “bianche”,  capace di offrire un  pacchetto all-inclusive dai servizi alle forniture, all’immobile e di sbaragliare e zittire preventivamente ogni concorrenza.

Il Viminale sembra orientato, secondo quanto dichiarato dal prefetto Pantalone, verso un’accoglienza spalmata in più centri e meno concentrata in mega strutture. Decongestionare il centro è un punto di non ritorno. Ma sempre che le condizioni lo permettano. Clausola che sinora ha salvaguardato il Centro menenino, nonostante le promesse, da riduzioni degne di nota: si è assistito solo a temporanei “sgonfiamenti” dopo periodi critici – per esempio dopo l’omicidio dei coniugi Solano a Palagonia, o dopo la fase calda delle inchieste giudiziarie -, ma poi, gradualmente, quasi per forza congenita d’inerzia, il centro ha ripreso sempre a veleggiare sulla cifra delle quattromila presenze. Senza considerare che, ogniqualvolta viene ventilata la prospettiva di un Cara “alleggerito”, c’è un’alzata di scudi dei dipendenti della struttura timorosi per il proprio posto di lavoro.

L’APPALTO CHE NON C’È – Tutto cambia, perché nulla cambi? È presto per dirlo. Nel sito web della Prefettura di Catania appare in bella vista una pagina dedicata all’Appalto per la gestione del C.A.R.A. di Mineo. Vi si trova la documentazione relativa agli avvicendamenti nella gestione commissariale, ma nulla più. L’ultima modifica è, ad oggi, datata al 15/12/2016 alle ore 12:35. Del nuovo appalto non c’è traccia alcuna. Si spiega dunque la preoccupazione espressa ieri da Cantone, durante l’audizione in Commissione Migranti: che, cioè, «malgrado la struttura del Cara sia stata sciolta e commissariata, l’appalto nuovo non è stato fatto, e il contratto continua ancora con il gestore di allora, sia pure con i commissari nominati dal Prefetto». L’appalto triennale è infatti, nel frattempo, giunto a naturale scadenza, ma nulla ancora si muove. Il Cara di Mineo ha, inoltre, un contratto di locazione in scadenza a ottobre, con una clausola di rinnovo automatico, senza l’esercizio dell’azione di recesso sei mesi prima, (quindi, entro il 26 marzo 2017), e va verso il rinnovo. Insomma, il Nuovo Cara di Mineo rischia di essere un’operazione gattopardesca di maquillage, che ripete sotto mutate forme vecchie logiche, se non si sblocca l’iter del nuovo appalto. Di qui il monito di Cantone: «Si faccia al più presto l’appalto».

Cosa proponga Cantone come soluzione all’affaire Cara, non lo dice, durante l’audizione. Ma qualcosa trapela, anche se il presidente dell’Anac parla in generale. Oltre alla necessità di linee guida più chiare e limpide sugli appalti, Cantone punta il dito sulla carenza di controlli, nella fase del monitoraggio e vigilanza, «un tema che finora non è stato posto e che dovremmo porre in una logica che non sia emergenziale». «Il bando è molto meglio con le nuove linee guida, ma il bando è un pezzo, ma se poi nessuno controlla, diventa tutto molto più complicato». Ma, ovviamente, «Non si può – per Cantone – pensare di mettere accanto ad ogni controllato un controllore». Cantone suggerisce anche, in alcuni casi, di far svolgere i compiti di controllo anche alle  Forze di Polizia.

Ma «il vero problema – per Cantone – è intervenire in modo radicale nei confronti di chi non rispetta le regole». Ed è a questo punto che il Presidente dell’Anticorruzione propone una soluzione drastica, ma a suo avviso risolutiva: «Se noi interveniamo in modo draconiano revocando l’appalto a chi non si comporta bene, questa sanzione, che economicamente incide sugli imprenditori in modo molto più serio di tante altre sanzioni, rappresenta una controspinta effettiva per chi vorrà pensare a farlo». Una soluzione che, se applicata a Mineo, avrebbe conseguenze enormi, facilmente immaginabili.

PIZZAROTTI, MON AMOUR – Nelle linee guida fornite dall’Anac è stato evidenziato un dato che anche il Ministero ha ripreso: evitare il monopolio. «Se noi facciamo un appalto – ha spiegato Cantone – nel quale consentiamo al soggetto di mettere in campo anche la proprietà degli immobili, noi gli abbiamo dato un monopolio sul quale non torneremo più indietro». L’esempio eclatante recente del Cara di Isola di Capo Rizzuto insegna. «Se la proprietà dell’immobile – conclude Cantone – fosse un bene demaniale pubblico, e si consentisse a strutture private di utilizzare in comodato gratuito, con regole ben precise, immobili pubblici, si garantirebbe sul piano della trasparenza e anche sul piano della concorrenza».

A Mineo, in effetti, si è ricorso ad una sorta di cavillo giuridico. Formalmente l’assegnazione dei servizi e delle forniture e la locazione dell’immobile sono stati distinti, nell’ultimo appalto. Una precauzione che non si era adottata in precedenza, quando l’immobile della Pizzarotti – come si evince dal contratto del 22 maggio 2013 – risultava essere nella disponibilità dell’Ati guidata da Sisifo, che aveva garantito un’offerta all inclusive: servizi, ristorazione, assistenza sanitaria, immobile.

Ma nel 2014, tenuto conto dell’ammontare dell’appalto e della sua durata, si decise di andare con i piedi di piombo. Il 7 gennaio 2014 il CdA del Consorzio dei Comuni nominò un collegio di tre esperti amministrativisti per esprimere un parere legale «a garanzia del corretto iter da seguire per l’affidamento della gestione dei servizi». I professionisti a cui fu affidato l’incarico (il prof. Agatino Cariola e gli avvocati Andrea Scuderi e Dario Sammartino) consigliarono di tenere separati i due procedimenti, uno per acquisire il locali e l’altro per affidare la gestione dei servizi e delle forniture e, solo nel caso che con la Pizzarotti non si fosse giunti a un accordo condiviso, di avviare una gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della gestione del Cara “chiavi in mano”.

Ma, ed è qui l’inghippo, c’è da aggiungere che anche nella nuova gara di giugno 2014 per l’appalto triennale, l’impresa Pizzarotti concorre con la costituenda nuova Ati, che ha stavolta come coop capofila la Casa della Solidarietà. E, dunque, la separazione della procedura per l’affidamento dei servizi di gestione da quella per l’acquisizione della struttura si rivela la classica foglia di fico. L’impresa di Parma risulta nei confronti del Consorzio dei comuni avere il duplice ruolo di affittuaria della struttura e concorrente dell’appalto, inserita in un’Ati che, comunque la si voglia vedere, partecipa da posizioni di forza.

Sempre durante l’audizione del luglio scorso della Responsabile della “Struttura di missione”, è emerso un particolare intrigante, a questo proposito. Esiste un contenzioso con la Pizzarotti in merito ai lavori di manutenzione della struttura: «Ho chiesto – ha rivelato Di Raimondo – un supporto tecnico per un determinato contraddittorio sulla manutenzione con la ditta Pizzarotti. Evidentemente ci sono procedure un po’ lunghe. La prefettura di Catania ha interessato l’Agenzia delle entrate per il supporto tecnico. Hanno dovuto fare una bozza di convenzione che avrebbe dovuto essere approvata dall’Agenzia centrale e dal nostro ministero, con un importo – devo dire – elevato». Tra le tante peculiarità del Cara di Mineo, c’è «il fatto che nel bando dell’accoglienza ha messo anche la manutenzione, che non è prevista. Per ogni centro d’accoglienza il bando di gara deve riguardare l’assistenza alla persona, mentre per la manutenzione vi è un altro bando di gara a parte». «Siamo in contrasto – continua – con Pizzarotti perché nel contratto di appalto loro hanno escluso tra i danni rientranti nella manutenzione ordinaria quelli provocati dagli ospiti». Quindi, con questa logica, la Pizzarotti Spa non garantisce la manutenzione, per esempio, dei servizi igienici, con la clausola che, se sono stati eventualmente danneggiati dagli ospiti, loro non intervengono. «Vi dico – confessa la Responsabile della “Struttura di Missione”, sbottonandosi un po’ – che su questo tema dei danni causati dall’ospite abbiamo avuto un momento di… perché arrivavano delle autorizzazioni mai firmate». E – aggiunge Di Raimondo – «Le cifre sono notevoli».

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