Pubblicato il 20/04/2020
ATTUALITÀ

Gaetano Caruso: “Così ho vinto il Covid. Mi ha aiutato la fede”



“Nella mia stanza, col tempo che non passava mai,  avevo davanti a me un Crocifisso di San Damiano che mi guardava. La fede mi ha aiutato”. A Pasqua la celebrazione dell’eucarestia col vescovo Peri: “Un momento forte”.

di Giacomo Belvedere

“Si sperimenta la solitudine”. È uscito finalmente dal tunnel del Covid-19 il  lunedì di Pasquetta Gaetano Caruso, 57 anni, dipendente comunale e diacono permanente di Caltagirone, ma ancora sono vivide e forti le sensazioni  di smarrimento, paura, isolamento provate durante il suo calvario infinito nel Reparto di Malattie Infettive del nosocomio calatino. “Sei solo di fronte alla morte e ti mancano tanto i tuoi cari. Sì abbiamo i social, le videochiamate, ma non sono la stessa cosa ”.


"RINGRAZIO IL GRAVINA" - Come è avvenuto il contagio? “Non so nemmeno come ho preso il Covid – risponde -. I miei hanno fatto tre quarantene, e sono sempre risultati negativi al tampone. Ero già a casa per un otite, quindi non sono né andato al lavoro né uscito. Solo una volta: e forse il virus mi ha colpito subito perché già debilitato”. Questo ci tiene a precisare: “Il virus è molto contagioso. Occorre la massima prudenza”.


Un virus sconosciuto, che all’inizio è stato preso sottogamba e che ti colpisce alle spalle, a tradimento, infierendo sui più fragili. Anche al “Gravina” ci sono stati 7 contagi tra il personale sanitario: “sì, ma tutti abbiamo imparato dopo, man mano a conoscerlo. Devo ringraziare tutto il personale sanitario del "Gravina". La tanto vituperata sanità siciliana al "Gravina" ha funzionato benissimo”.


IL CROCIFISSO DI SAN DAMIANO - In quelle ore di attesa, col tempo che non passava mai, “avevo davanti a me un Crocifisso di San Damiano che mi guardava. La fede mi ha aiutato”.  Ma il senso di solitudine è fortissimo: “Sei solo con te stesso. I medici entrano bardati come marziani e ti chiedono come stai. Stanno poco nella stanza. Tu percepisci che per gli altri sei una fonte di contagio che mette paura”.


"PRIGIONIERI DEL TAMPONE" - Gaetano Caruso tiene a fare un appello affinché si velocizzi l’analisi e refertazione dei tamponi e si snelliscano le procedure burocratiche. Si sta settimane e anche più in attesa dell’esito, sospesi in un limbo, in una terra di nessuno, in cui la tua vita è appesa a un filo e non sai se sei guarito o no, se puoi tornare a casa o no. Ora si spera che il Gravina” di Caltagirone possa processare in loco i tamponi: l’autorizzazione a comprare la strumentazione necessaria è arrivata dalla Regione, ma ancora manca qualche passaggio burocratico, qualche timbro o carta bollata.


“Aver centralizzato l’analisi dei tamponi tutta su Catania è stato un errore – ci dice Caruso. “Così tempi si allungano: si resta prigionieri del tampone senza sapere che fare. Faccio un esempio: mia moglie ha fatto il tampone il 4 aprile. Il 6 era pronto, ma al medico di mia moglie – non a mia moglie - l’esito, negativo, è arrivato solo giorno 11”.


LA PASQUA COL VESCOVO - E invece il fattore tempo è cruciale in questa guerra contro un nemico così subdolo. Il mio secondo tampone era stato processato nei laboratori di Catania prima di Pasqua. Avrei potuto passare la Pasqua con i miei. Invece l’esito è arrivato dopo 10 giorni”. Sconforto, rabbia? “No – ci spiega -, ho capito dopo perché ho dovuto passare la Pasqua in ospedale. In tal modo ho fatto la celebrazione eucaristica, nella stanza che era stata la mia, con il vescovo [ricoverato al Gravina” il 2 aprile e risultato positivo al Covid, ndr] e con l’altro diacono Francesco Arcidiacono. È stato un momento molto forte e toccante. Ho capito perché il Signore mi ha fatto aspettare un altro giorno lì”.


"A CASA!" - Finalmente a Pasquetta la tanto sospirata notizia: “A casa!”. Il giorno prima ancora nessun esito. “Sollecitavo il dottor Salvatore Bonfante, il primario di Malattie infettive ogni giorno, ma niente. Poi lunedì il dott. Bonfante è entrato e mi ha detto serio. "Le devo dare una notizia… Lei purtroppo ci deve lasciare". Non credevo ai miei occhi. È stata una resurrezione. Ho telefonato subito a mia moglie. Un mese che non la vedevo”. Si vede dalla foto postata il 13 aprile su Facebook, appena messo piede fuori dall’ospedale. Se le mascherine nascondono il sorriso della bocca, sono gli occhi, da cui sprizza una gioia incontenibile, che parlano da sé: “Si torna a casa!”.

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