Pubblicato il 19/04/2020
ATTUALITÀ

Covid- 19: ecco i dati che ci dicono se possiamo riaprire: Lombardia maglia nera



Due i dati che, incrociati tra loro, possono fornire indicazioni utili: il numero degli attuali contagiati (cioè dei positivi al Covid al netto dei guariti e morti) per regione, e la variazione per regione nelle 24 ore degli attuali contagiati. Se il primo è basso e il secondo negativo si può discutere di riapertura, altrimenti si rischia il default sanitario, e non solo.


di Giacomo Belvedere

I dati diffusi ieri sul contagio in Italia dalla Protezione civile mostrano tre positività. Innanzitutto continua la crescita della percentuale dei pazienti guariti, che ieri avevano già superato un quarto del totale dei contagiati: sono il 25,54%. In 12 giorni il dato è cresciuto di più di otto punti percentuale (venerdì 24,78%; giovedì 23,77%; mercoledì 23%; martedì 22,85%; lunedì 22.21%; domenica 21,87%; sabato 21.36%; venerdì 20,63%; giovedì 19,83%; mercoledì il 19%; martedì il 18%; lunedì il 17,23%). Sono lontani i tempi in cui la forbice tra guariti e deceduti tendeva paurosamente a coincidere.


Ma è ancora lunga e faticosa la strada che porterà i guariti al 50% di tutti i contagiati. Allora - e solo allora - potremo dire di avere scollinato e imboccato finalmente la discesa. Il dato, dunque, è confortante - anche perché ormai è un trend in crescita stabilizzato –, ma non giustifica affatto facili e superficiali entusiasmi.


Il secondo dato incoraggiante è il tasso grezzo di letalità: ieri era al 13,2%, pressappoco lo stesso di venerdì (13,19%). Inoltre, è degno di nota che in una settimana l’aumento è stato molto contenuto: solo 0,3%  punti percentuale (giovedì 13,12; mercoledì 13,1%; martedì 12.96%; lunedì 13,38%; domenica 12,72%; sabato 12,9%). Ma questo numero potrà essere confermato solo dopo che l’Istituto Superiore di Sanità avrà stabilito la causa effettiva del decesso (secondo l’ultimo report, aggiornato al 16 aprile i decessi confermati sono 19.996, con una tasso di letalità complessiva del 12,6%, con una differenza dello 0,52% rispetto al tasso grezzo).


Il dato è  incoraggiante perché, nei giorni scorsi i tasso di letalità aumentava inesorabilmente e sembrava inarrestabile. Oggi appare essersi fermato. A maggior conforto si può aggiungere che il numero dei morti, sempre alto, è tuttavia minore rispetto ai passati ultimi sette giorni: +482 decessi (venerdì +575; giovedì +525; mercoledì +588; martedì +602; lunedì +566; +431, sabato +619).


Il terzo dato, che induce a una prudente speranza, è l’allentarsi della pressione sulle strutture sanitarie: hanno segno meno i pazienti senza sintomi o con sintomi lievi in isolamento domiciliare (-1.667); le persone ricoverate con sintomi (-779); ma soprattutto i pazienti nelle terapie intensive (-79 ieri, ma -1.335 dal 3 al 18 aprile).


FINE LOCKDOWN? - E, dunque, questi dati autorizzano a pensare possibile la cosiddetta fase 2, con la ripartenza generalizzata di tutte – o quasi tutte - le attività oggi in lockdown?  Occorre molta prudenza. Il virus non ascolta i proclami, spesso demagogici, sulla riapertura. E si rischia di aprirgli un’autostrada, se si commettono imprudenze. Come il re della parabola evangelica, dobbiamo esaminare se possiamo affrontare con diecimila uomini chi ci viene incontro con ventimila. Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli mandiamo dei messaggeri per chiedere pace. Fuor di metafora, è necessario valutare bene se abbiamo le armi per affrontare il virus in campo aperto. Altrimenti andremo incontro al default sanitario, e non solo.


Le armi indispensabili per una ripartenza in sicurezza sono Dpi, tamponi, reagenti chimici, test sierologici a tappeto. Perché, dato che ancora non disponiamo di una cura, occorre puntare sulla prevenzione. E se si vuole allentare il lockdown, bisogna che si intercetti il contagio sul nascere, in modo da circoscrivere e isolare il focolaio in tempi rapidi. Oggi non siamo in grado di farlo. È onestà ammetterlo. Per un tampone si attendono anche 20 giorni (se te lo fanno), e altri 20 per avere l’esito. Sono 40 giorni: un tempo infinito, in cui, se il sospetto paziente Covid-19 è positivo, nel frattempo al Coronavirus si sono aperte praterie.


E non ha nemmeno senso moltiplicare i laboratori, se poi non disponiamo a sufficienza dei reagenti. Ciò perché dipendiamo dall’estero per tutto ciò che ci potrebbe consentire una prevenzione efficace. E in un periodo in cui la pandemia è mondiale, si capisce perché l’Italia faccia fatica a dotarsi di mascherine, reagenti, tamponi e quant’altro possa garantire la sicurezza dei suoi cittadini. Senza autosufficienza in questo campo, riaprire è un suicidio annunciato.


L'impressione è che chi dice di aprire non abbia uno straccio di  piano in tal senso, o se ce l’ha, solo a parole, senza che si dica se e dove ci sono le risorse e gli strumenti necessari. Al solito, ci si muove con singole eccellenze e iniziative lodevoli, ma non coordinate. Per quanto si sa, le industrie chimiche stanno lavorando sul Corona, basandosi sulla propria iniziativa, senza indicazioni centrali. Anzi, lacci e lacciuoli burocratici, frenano chi si vuole scommettere. C’è carenza, ad esempio, di etanolo (a ruba dappertutto) e il peso eccessivo delle accise pesa come un macigno sulla sua produzione/vendita. Molte le università ed aziende locali che producono reagenti utili, ma restano pur sempre singole iniziative.


Ma poniamo, per assurdo, che in Italia tutti questi problemi fossero stati risolti per magia. Resta da valutare se, garantiti tutti gli standard di sicurezza a tutti i cittadini, si possa effettivamente ripartire. Se, cioè, il contagio presenti o meno criticità tali da sconsigliare l’allentamento del lockdown.


Due sono a tal proposito i dati che, incrociati tra loro, possono fornire indicazioni utili. Il primo è il numero degli attuali contagiati (cioè dei positivi al Covid al netto dei guariti e morti) per regione. Perché ci dice qual è attualmente la “massa critica”. Un numero troppo lato non depone a favore della riapertura: sarebbe come consentire l’accesso a un parco dopo un incendio, prima che tutti i grossi focolai siano stato spenti.


Il secondo è la variazione degli attuali contagiati per regione nelle 24 hh. Questo dato ci dice se e quanto il contagio sia in crescita, o se sia in fase calante. Un dato che, tuttavia, va incrociato e comparato col primo: per una regione che, ad esempio, presentasse un calo anche significativo, nelle 24 ore, del numero dei contagiati, ma avesse ancora un numero elevato di contagi, la riapertura costituirebbe un rischio troppo alto.


Il dato direbbe che la regione è sulla strada giusta, ma che il cammino da fare è ancora lungo. E pensare di essere già arrivati al traguardo sarebbe una perniciosa illusione. Per valutare positivamente l’ipotesi apertura devono essere confortanti entrambi i dati: numero complessivo di contagiati attuali basso, che deve essere tendente a zero, e si deve avere il segno meno nella variazione nelle ultime 24 hh: ma questo dato, come si è visto, ci dice solo che il contagio è in fase calante, ma non quanto ancora deve calare per azzerarsi del tutto. Per saperlo occorre guardare al primo dato. L'ideale è che tutti i due dati siano pari a zero, oppure che il primo dato sia pari a zero e il secondo pari al numero dei contagiati del giorno prima: vorrebbe dire che il contagio è stato debellato.


Ma vediamo i dati per regione, raggruppati secondo i due indicatori di cui si è detto.       

ATTUALI CONTAGIATI IN ITALIA - Le 107.771 persone che risultano attualmente positive al virus in Italia sono così distribuite per regione:

Lombardia 34.195 (31,73%)

Piemonte 14.223 (13,20%)

Emilia-Romagna 13.584 (12,6%)

Veneto 10.444 (9,7%)

Toscana 6.470  (6,0%)

Lazio 4.282 (3,97%)

Liguria 3.412 (3,16%)

Campania 3.045 (2,82%)

Puglia  2.694 (2,5%)

Sicilia 2.171 (2,0%)

Provincia autonoma di Trento 1.985 (1,84%)

Abruzzo 1.971 (1,83%)

Provincia autonoma di Bolzano 1.556 (1,44%)

Friuli Venezia Giulia 1.403 (1,3%)

Sardegna 881 (0,81%)

Calabria 832 (0,77%)

Valle d’Aosta 549  (0,51%)

Umbria 431 (0,4%)

Basilicata 262 (0,24%)

Molise 209 (0,2%)


VARIAZIONE DEL CONTAGIO NELLE 24 hh - Queste le variazioni registrate ieri sui casi attualmente positivi (al netto di guariti e contagiati) in Italia per regione.

Lombardia +761

Piemonte +225

Lazio +68

Valle d’Aosta +58

Puglia +38

Sicilia +32

Abruzzo +29

Campania +18

Marche +15

Calabria +13

Sardegna +9

Molise +1

Emilia Romagna -1

Basilicata -4

Provincia autonoma di Trento -5

Friuli Venezia Giulia -25

Provincia autonoma di Bolzano -26

Liguria -47

Umbria -63

Toscana -113

Veneto -174


Balza agli occhi che la Lombardia, da sola, con  761 nuovi casi nelle ultime 24 ore, ha il 94% di tutti i nuovi casi italiani, che ieri hanno registrato un incremento di +809 positivi al Covid-19. Se poi si aggiunge che la Lombardia da sola ha il 31,73% degli attuali contagiati, ognuno può valutare da sé, quanto sia lungimirante l’ipotesi riapertura per quella che risulta essere la maglia nera delle regioni italiane in fatto di Covid-19.

Sunt lacrimae rerum: come il detto virgiliano ci ammonisce, ci sono lacrime nelle stesse cose, così eloquenti, da non aver bisogno di ulteriori commenti.

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