Pubblicato il 12/04/2020
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Dopo il sabato, la tomba vuota: fare Pasqua ai tempi del Corona



L'Italia ha fretta di passare dalla croce del venerdì all’alleluia della domenica. E invece dobbiamo fermarci al sabato, il giorno dell'attesa per vedere la resurrezione, che non è un tornare indietro, ma un andare oltre. L’Italia non tornerà più quella di prima. Ci sarà un prima e un dopo il Coronavirus. Prima gli Italiani lo avranno capito, prima potranno vedere la loro resurrezione.  

di Giacomo Belvedere
Una tomba. Vuota. Non c’è altro segno, neppure un labile indizio della Resurrezione. Non cori angelici, né effetti speciali, né Voce dall’Alto. È come se Dio avesse pudore di mostrare il più straordinario dei suoi miracoli. Una tomba vuota. Un segno inquietante e ambiguo. Tant’è che si pensa subito a un furto. Lo pensano le donne accorse al sepolcro; lo pensano gli apostoli rimasti guardinghi al sicuro; lo pensano i sacerdoti del tempio, convinti di averci messo una pietra sopra.

È un segno che spiazza: “non c’è colui che cercate”. Perché si cerca male. Si cerca tra i morti Colui che è vivo. Questa Pasqua 2020, che ricorderemo per sempre, ci dice una grande, benché scomoda verità: non si ha resurrezione senza passare dal sabato, il giorno dell’attesa, della sospensione, del grande silenzio. È questo il segno dei tempi: il mondo intero sta attraversando il suo sabato santo.  

“«Dopo il sabato» (Mt 28,1) le donne andarono alla tomba. È iniziato così il Vangelo di questa Veglia santa, con il sabato. È il giorno del Triduo pasquale che più trascuriamo, presi dalla fremente attesa di passare dalla croce del venerdì all’alleluia della domenica”. È l’incipit dell’omelia che Papa Francesco ha pronunciato ieri durante la veglia pasquale nella Basilica di San Pietro insolitamente vuota. Come sono vuote le nostre città in questi giorni di paura e tristezza. Come è vuoto il nostro cuore. Per questo, insofferenti della pausa imposta alle nostre vite, abbiamo fretta di “passare dalla croce del venerdì all’alleluia della domenica”. E invece dobbiamo fermarci.

“Possiamo specchiarci ­– continua il Papa - nei sentimenti delle donne in quel giorno. Come noi, avevano negli occhi il dramma della sofferenza, di una tragedia inattesa accaduta troppo in fretta. Avevano visto la morte e avevano la morte nel cuore. Al dolore si accompagnava la paura: avrebbero fatto anche loro la stessa fine del Maestro? E poi i timori per il futuro, tutto da ricostruire. La memoria ferita, la speranza soffocata. Per loro era l’ora più buia, come per noi”.

“Una tragedia inattesa accaduta troppo in fretta”. Da cui, tuttavia, non potremo uscire in fretta. E, invece, si ha fretta di riaprire, ricominciare, ristabilire tutto come prima. Ciechi e guida di ciechi siamo. Come le donne al sepolcro cerchiamo male la nostra resurrezione. Niente sarà come prima. E finché ci illuderemo di ripristinare il passato felice, cercheremo invano l’uscita dal tunnel.

Niente potrà né dovrà essere come prima. La resurrezione non è la rianimazione di un cadavere, perché le lancette dell’orologio possano essere rimesse indietro ai giorni felici col Maestro, prima di quel venerdì funesto. Il Risorto non ritorna ad essere quello di prima, né cancella le stimmate della crocifissione, ben visibili sul suo corpo glorioso. Il Risorto non torna indietro: va oltre. E ci invita a seguirlo oltre, se vogliamo vederlo, rinunciando alla nostalgia del tempo che fu. Altrimenti ci resta solo la tomba vuota. Ma lì non troveremo affatto chi cerchiamo.

L’Italia non tornerà più quella di prima. Ci sarà un prima e un dopo il Coronavirus. Prima gli Italiani lo avranno capito, prima potranno vedere la loro resurrezione.

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