Di fronte al triste corteo di quelle bare portate da Bergamo altrove, perché non c’era posto per loro per una degna sepoltura, forse sarebbe più consono un rispettoso silenzio, invece di minimizzare. E ricordare che gli “untori” non sono gli altri: ciascuno di noi è un potenziale untore per gli altri. Soprattutto se pensa di non esserlo.
di Giacomo Belvedere
No, non è una semplice influenza. Non è un’influenza la causa del triste corteo dei mezzi militari, che a Bergamo sono stati impiegati per trasportare le salme in altre regioni, perché nella camera mortuaria non c’era più posto. Non è un’influenza che fa sfrecciare di continuo ambulanze e le mette in fila davanti agli ospedali in attesa di poter entrare. Non è un’influenza quella che sta tenendo sotto scacco l'intero comparto della Sanità, costringendo medici e paramedici a turni massacranti e a rischiare la vita.
Non è un’influenza quella che impedisce di dare l’ultimo saluto e i conforti religiosi ai propri cari defunti. Non è un’influenza quella che ha causato sinora 2.978 morti, l’8,7% rispetto al numero complessivo dei contagiati. Non è un’influenza quella che, solo ieri, ha causato 475 morti.
Già sento le obiezioni: ma sono morti con il Coronavirus, non per il Coronavirus, ma avevano altre patologie, ma erano anziani. A parte il fatto che dovrebbe far riflettere che il cosiddetto “paziente 1” (cosiddetto perché è probabile che molti più “pazienti 1” circolassero già a gennaio) è un 38enne, sportivo, in buona salute e senza altre patologie - eppure ha contratto una polmonite assai grave -, c’è una questione di fondo che va affrontata senza infingimenti o riduzionismi fuor di luogo.
Anche a voler escludere l’85% dei casi di anziani o con altre patologie, la percentuale resta sempre molto alta: l’1,3%: più di dieci volte di quella della semplice influenza, che ha una percentuale di letalità dello 0,1%.
Ma resta anche inevasa una domanda a cui è urgente rispondere: l’85% dei casi di persone morte che avevano fragilità sanitarie, sarebbero morte senza il Coronavirus? Quello che è certo è che il Coronavirus ha dato il colpo di grazia.
E ancora: non ha diritto un anziano a vivere tutti gli anni che ancora gli restano, circondato dall’affetto dei suoi cari? Anche perché, nel caso in questione, l’idea dell’immunità di gregge, valida per altre malattie, è un’idiozia. Intanto perché l’immunità di gregge l’ottieni col vaccino e non facendo cinicamente crepare i più fragili. Quest’idea malthusiana della selezione naturale fa rabbrividire.
Inoltre, gli anticorpi sviluppati da chi ha contratto con esito felice la malattia (e qui invece regge il paragone con l’influenza, che spesso provoca ricadute) probabilmente non daranno l’immunità totale per sempre, ma solo eviteranno che la malattia si sviluppi in forme più gravi. E di fronte a quelle bare portate altrove, perché non c’è posto per loro per una degna sepoltura, forse sarebbe più consono un rispettoso silenzio.
Non è un’influenza perché siamo totalmente indifesi. Non è un’influenza perché è molto più subdola e contagiosa. Non è un’influenza perché il periodo di latenza (e dunque il periodo in cui si è potenzialmente contagiosi senza saperlo perché asintomatici) è molto più lungo, sino a 14 giorni e forse anche più. Non è un’influenza perché chi sviluppa una polmonite ha un periodo di degenza, se è fortunato e guarisce, molto più lungo della normale polmonite, tenendo occupato dunque un posto in terapia intensiva o in Malattie infettive, per molto più tempo, proprio quando c’è un estremo bisogno di posti letto.
Non è fare allarmismo questo, ma corretta informazione. Perché in Italia c’è ancora troppa gente che prende il contagio sottobanco. Come il manzoniano don Ferrante dei Promessi Sposi, negano l’evidenza. Ma se nascondi la polvere sotto il tappeto, non hai pulito la casa.
Un insegnamento abbiamo in questi giorni: il virus è democratico, non guarda in faccia nessuno e colpisce tutti. Inoltre, si può battere solo se tutti rispetteranno l’unica arma che abbiamo per contrastare il contagio: stare a casa e praticare forme di distanziamento sociale. Non perché siamo asociali, ma perché vogliamo preservare noi e i nostri cari. Bastano pochi incoscienti che non rispettano le regole e tutto va all’aria. Il Coronavirus lo si vince tutti insieme o non lo si vince affatto.
Stiamo a casa, stiamo fermi, rispettiamo le regole. Il virus non ha ali per volare,
né piedi per camminare. Si muove, se ci muoviamo noi. Perché – occorre dirlo
con forza – gli “untori” non sono gli altri: ciascuno di noi è un potenziale
untore per gli altri. Soprattutto se pensa di non esserlo.
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