Pubblicato il 09/10/2019
ATTUALITÀ

Bija entrò al Cara di Mineo con il visto del Viminale: “ma non sapevamo chi fosse veramente”



Fu il Ministero dell'Interno ad autorizzare la Prefettura di Catania a consentire l'accesso del trafficante di esseri umani l'11 maggio 2017 al Cara di Mineo, perché “era in possesso di regolare visto di ingresso per breve periodo rilasciato dalla Rappresentanza Diplomatica Italiana in Libia”. Eppure un dossier dei servizi segreti austriaci lo aveva segnalato come colui che gestiva la prigione degli stranieri di Zawiya .


di Giacomo Belvedere

Dunque Bijia, lo spietato trafficante di esseri umani, è entrato al Cara di Mineo con il visto del Viminale. Smentita la notizia, circolata ufficiosamente, che avesse un documento falso.   

Lo rende noto Riccardo Magi, deputato di Più Europa, che aveva presentato un’interrogazione parlamentare, a seguito dell’inchiesta del quotidiano “Avvenire”, firmata da Nello Scavo.  


“Grande imbarazzo del Governo – scrive Magi su Twitter - che oggi ha risposto alla mia interrogazione sostenendo di non aver riconosciuto il trafficante #Bija tra i nomi forniti dalle autorità libiche. Nessuna risposta invece sulla composizione della delegazione italiana. Grave questo silenzio”.


Magi allega la risposta scritta del Viminale, che ha del paradossale. In buona sostanza il Ministero dell'Interno dice che Bijia non è entrato con documenti falsi, ma che al Viminale hanno capito chi fosse realmente solo un anno dopo. Se così fosse, sarebbe come dire: efficienza dell’Intelligence uguale a zero.  


Il Viminale scarica la responsabilità sull’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (O.I.M.): “È stato acclarato – si legge - che in data 3 maggio 2017 l’OIM ha chiesto ai competenti uffici del Ministero dell’Interno di autorizzare l'accesso al centro di Mineo da parte di una delegazione composta da 14 funzionari libici, appartenenti a diverse amministrazioni, e da funzionali dell’ O.I.M., che dal 8 al 12 Maggio 2017 si sarebbero recati in Italia in visita di studio per uno scambio informativo e di buone prassi sulla gestione dell'immigrazione e sul sistema di accoglienza nell'ambito del progetto SEEDEMM”.


“Si tratta di un progetto – si spiega - realizzato, nell’ambito del Programma Regionale di Sviluppo di Protezione per il Nord Africa, finanziato dalla Commissione Europea al 90 per cento realizzato in Libia dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (O.I.M.), con l’obiettivo di supportare le Autorità libiche e la società civile nella gestione dei migranti, rifugiati e richiedenti asilo: tra le altre attività il progetto prevedeva la formazione rivolta agli Ufficiali della Guardia costiera libica per la gestione degli sbarchi, dei salvataggi in mare e per l'individuazione dei migranti vulnerabili”. Tra questi Ufficiali c’era Bijia, ma al Viminale dicono che nulla sapevano dei suoi trascorsi.  


Bijia figurava nell’elenco della rappresentanza libica fornito dall’O.I.M. con il seguente nominativo: ‘Abdurahmans Salem Ibrahim Milad -  Libyan Coast Guard Officer of the Zwara Almisafa port point’. Nominativo che, precisa puntigliosamente il Viminale, “sulla base degli atti acquisiti è quello che ora viene ricondotto a Abd al-Rahman al-Milad”.  E, incredibile a dirsi, “lo stesso era in possesso di regolare visto di ingresso per breve periodo rilasciato dalla Rappresentanza Diplomatica Italiana in Libia a seguito delle ordinarie procedure di consultazione con i partner Schengen”. Durante queste consultazioni, a nessuno è venuto in mente nemmeno il più piccolo barlume di dubbio o sospetto. Anzi, “sulla base di quanto sopra i competenti uffici del Ministero hanno autorizzato la Prefettura di Catania a consentire l'accesso della delegazione per il giorno 11 maggio, come richiesto. Tale nominativo - aggiunge la nota del Viminale, quasi con rammarico -, sulla base degli atti acquisiti è quello che ora viene ricondotto a Abd al-Rahman al-Milad”.


Bijia, dunque, entra senza problemi al Cara di Mineo, gira indisturbato per l’Italia, incontra funzionari pubblici, sorride in posa davanti al fotografo. Un mafioso, un trafficante di esseri umani dei più pericolosi e spietati: trattato con i guanti gialli. E sì che è facilmente riconoscibile a causa di una vistosa menomazione alla mano  destra, dovuta allo scoppio di una granata nel 2011, durante la rivolta anti Gheddafi.


Ma, si difende il Viminale, al momento dell’incontro al Cara di Mineo, non si sapeva nulla del suo spessore criminale: “solo con provvedimento del 7 giugno 2018 – si legge - il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha disposto le sanzioni internazionali a carico di Abd al-Rahman al-Milad: più di un anno dopo, quindi dall’ingresso in Italia della citata delegazione Libica”. È stata l’Olanda, con il supporto di Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti, a seguito di un’indagine di un mese compiuta da esperti dell’Onu, ad avanzare la proposta di sanzioni contro sei individui, tra cui Bija, inseriti in una black list. Italia assente. Ovviamente, anche dopo un anno, da noi ancora non si sapeva e si cade dalle nuvole.


Eppure, anche a non voler considerare le numerose inchieste giornalistiche sul pericoloso trafficante, il 10 maggio, il giorno prima dell’incontro al Cara di Mineo – come rivelato da Annalisa Camilli su Internazionale -, gira un dossier dei servizi austriaci sul famigerato Bija, in cui si dice che Bija gestisce la "prigione degli stranieri" di Zawiya, dopo aver estromesso con la forza le altre milizie dai traffici. I servizi italiani nulla sapevano, ma la fama sinistra di Bija era ben nota, tanto che, racconta Nello Scavo, viene riconosciuto immediatamente da un ospite del Cara che grida: “Mafia Libia, Mafia Libia”.  


E Nancy Porsia, giornalista freelance, in un articolo del 9 gennaio 2017, postato su “TPI News”, esattamente quattro mesi prima della foto di Bija, dice a chiare lettere che “Al-Bija è il capo indiscusso del traffico dei migranti”, come le spiega una fonte militare di Zawiya. E lo è dal 2015. “Il vero business di al-Bija sta nel recupero della 'mercanzia' in mare”, scrive la giornalista. Una verità brutale che tutti sanno ma nessuno vuol vedere. Se i migranti a cui è stato concesso di partire, non corrispondevano loro la quota, li riportavano a terra, al centro di detenzione. Il 2 febbraio 2017, in un altro articolo pubblicato in inglese sul sito dell'Ispi, Nancy Porsia pone nuovamente la questione dei rapporti tra Bija e l’Italia.


“Nessuna risposta invece sulla composizione della delegazione italiana. Grave questo silenzio” – scrive Magi. L’intelligence italiana ha seccamente smentito la presenza di funzionari del servizio segreto a Mineo. “Con un distinguo – ha scritto Scavo su Avvenire. “Nella precisazione viene indicato che «nessun funzionario dell’Aise ha mai partecipato a quella riunione». L’Aise è l’agenzia per la sicurezza esterna. Curiosamente, non viene indicata l’assenza anche di uomini dell’Aisi, l’Agenzia informazioni e sicurezza interna”.


Il Cara di Mineo era un centro blindatissimo, specie per i giornalisti. Più volte abbiamo fatto lunghe ed estenuanti anticamere per avere il visto d’ingresso e l’autorizzazione dalla Prefettura. Ma Bija, a quanto pare, era considerato una presenza affidabile, un’anima candida senza macchia alcuna. Con cui discutere, da amici, di “buone prassi sulla gestione dell'immigrazione”.

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