Pubblicato il 06/10/2019
INCHIESTA
ph. incontro a Roma presso Guardia Costiera

Indovina chi viene al Cara di Mineo? Governo e opposizione muti sull’inchiesta di Avvenire



The day after dopo l’esplosiva inchiesta del quotidiano cattolico “Avvenire”. Si tende a minimizzare, a far passare sotto traccia, trincerandosi tutt’al più dietro uno scontato “a mia insaputa”: il tempo necessario per nascondere nella sabbia dell'oblio l'affaire imbarazzante. Tanto la “gggente” ha la memoria corta. Chi ha paura della verità?

 

di Giacomo Belvedere

Che ci faceva l’11 maggio del 2017 il boss della mafia libica Abd al-Rahman al-Milad, meglio conosciuto sotto il nome di battaglia Bija, al Cara di Mineo? La domanda dovrebbe inquietare non poco il sonno nelle stanze della politica, dopo che l’esplosiva e meritoria inchiesta di Nello Scavo pubblicata su “Avvenire”, ha rivelato la sua presenza in Italia, e nel centro menenino in particolare, al seguito di una non meglio precisata delegazione libica. Con tanto di foto, in cui si vede il temuto e spietato trafficante di esseri umani, facilmente identificabile per una menomazione alla mano destra dovuta allo scoppio di una granata nel 2011, durante la rivolta anti Gheddafi.


Lui non parla, riferisce “Avvenire”, “Prende nota e ogni tanto fa cenno all’emissario del ministro dell’Interno del governo riconosciuto di intervenire”. Probabilmente fa i conti. Perché è un maestro in affari sporchi: la sua tribù controlla le raffinerie e il porto di Zawiya, ed è in primo piano nel traffico di esseri umani. Bija, stando ad “Avvenire”, ha visitato in seguito anche il centro di Pozzallo. Quindi appare nella foto di gruppo, a Roma, in un incontro di formazione con la Guardia Costiera italiana, avvenuto il 15 maggio. Insomma, gira indisturbato per l’Italia, incontra funzionari pubblici, sorride in posa davanti al fotografo. Un mafioso, un trafficante di esseri umani dei più pericolosi e spietati: trattato con i guanti gialli.


Sorprende, dunque, che le reazioni alle rivelazioni del quotidiano dei vescovi siano, timide, sporadiche, quasi in sordina. Si contano sulle punta delle dita: Orfini, Fratoianni, Bonino e pochi altri. Silenzio imbarazzato del Governo. E si capisce, dato che il presidente del Consiglio all’epoca dei fatti era Gentiloni e il ministro dell’Interno Minniti. Certo l’inquilina attuale del Viminale, si starà mordendo la lingua, per aver dichiarato, prima che Nello Scavo scoperchiasse il vaso di Pandora, che “Ci vogliono delle regole. Bisogna ripartire dal Codice delle Ong proposto dal ministro Minniti”. Il premier Conte non ha risposto alla provocazione di Cecilia Strada che gli ha chiesto: “ha letto l'inchiesta di Avvenire sul criminale Bija? Uno di quelli che, ogni giorno, ‘contiene centinaia ma proprio centinaia di migranti", per usare le sue parole? Quando li stracciamo gli accordi con la Libia? Grazie!’”.


Già, Minniti. Per la verità Marco Minniti, l’uomo forte del governo Gentiloni, ha parlato e proprio sulla Libia. Lo ha fatto ieri in un’intervista concessa al “Foglio” in cui Minniti ci spiega perché gli interessi nazionali italiani passano dalla Libia”. Finalmente, si dirà. Ma chi tentasse di cercare una qualche allusione, seppur alla lontana, all’inchiesta di “Avvenire”, farebbe un buco nell’acqua. Nell’intervista, l'ex capo del Viminale, compie il capolavoro di non sfiorare nemmeno di striscio la questione. Forse perché scotta assai.


Ma anche dall’opposizione arriva un silenzio assordante. Strano, dato che la questione dei migranti solitamente attiva, per effetto Pavlov, una salivazione abbondante nella destra sovranista.  Salvini, di solito così loquace quando gli toccano il tema dei migranti, tace. Così  la sodale Meloni, ma anche da Forza Italia non si ode mosca volare.


Si ha l’impressione che si voglia minimizzare, far passare sotto traccia, trincerandosi  tutt’al più dietro uno scontato  “a mia insaputa”: il tempo necessario per nascondere nella sabbia dell'oblio l'affaire imbarazzante. Tanto la “gggente” ha la memoria corta. A chi fa paura la verità? Fosse stata una fake news sarebbe ancora sui primi titoli di tutti i media. E invece.

“A mia insaputa”, si ripete: non si sapeva della pericolosità di Bija, che si sarebbe rivelata solo successivamente. Lui veniva presentato come Guardia Costiera libica  - è la giustificazione addotta -  mica come boss mafioso. Exusatio non petita.


Eppure la fama sinistra di Bija era già nota, tanto che, racconta Nello Scavo, viene riconosciuto immediatamente da un ospite del Cara che grida: “Mafia Libia, Mafia Libia”. Inoltre già nel 2016, Lucia Goracci, aveva mostrato per Rai News le immagini di un recupero di migranti da parte della cosiddetta Guardia Costiera libica, in cui si lasciano andare i trafficanti e riportano in un centro di detenzione i migranti. “Ho spulciato frame by frame le immagini girate nel 2016 da Lucia Goracci – scrive su Twitter la siciliana reporter di Rainews24 Angela Caponnetto -: GC libica recupera circa 50 portati poi in centri detenzione mentre gli scafisti vengono lasciati andare. A bordo della motovedetta ero certa di averlo visto Bija. L’ho trovato (in basso a ds)”. Bija. Proprio lui, in azione”.


Istruttivo poi il thread che, sempre su Twitter, posta Matteo Villa, ricercatore presso l’Ispi, l'Istituto per gli  studi di politica internazionale. “I membri di una Guardia costiera straniera – scrive - sono in visita in Italia, hanno appena incontrato i vertici della nostra. Guardano in camera. Sorridono. Incluso il brutale capo libico delle milizie di Zawiya. Datemi cinque minuti, ve la racconto”. Un racconto che non lascia dubbi, grazie alla testardaggine di valenti giornalisti e ricercatori che fanno le pulci alle verità troppo facili.


È stato Luca Raineri, ricercatore di Relazioni Internazionali e Security Studies presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, a scovare la foto dell’incontro a Roma, in cui Bija è il quarto da sinistra. “Nell’ambito del progetto "SEA DEMM – Sea and Desert Migration Management for Libyan authorities to rescue migrants", coordinato dall'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) – si legge nel comunicato stampa della Guardia Costiera italiana -, il Comando Generale delle Capitanerie di porto – Guardia Costiera ha ricevuto in visita una delegazione composta da rappresentanti di diverse amministrazioni libiche e di funzionari dello stesso IOM”.


Tra gli argomenti trattati “la ricerca e il salvataggio della vita umana in mare, il border control, l’attuale divisione delle aree S.A.R. nel Mediterraneo Centrale e il progetto di cooperazione tra Italia e Libia, che si propone, attraverso il ricorso a finanziamenti europei, di istituire un efficiente Maritime Coordination Center in quest’ultimo stato”. “La delegazione libica, infine, ha espresso parole di apprezzamento per l'impegno profuso dalla Guardia Costiera italiana nell'adempimento dei propri compiti istituzionali”, conclude la nota.


Si deve invece a Nancy Porsia, giornalista freelance, un articolo del 9 gennaio 2017, postato su “TPI News”, esattamente quattro mesi prima della foto di Bija, in cui si dice a chiare lettere che “Al-Bija è il capo indiscusso del traffico dei migranti”, come le spiega una fonte militare di Zawiya. E lo è dal 2015. “Il vero business di al-Bija sta nel recupero della 'mercanzia' in mare”, scrive la giornalista. Una verità brutale che tutti sanno ma nessuno vuol vedere. Se i migranti a cui è stato concesso di partire, non hanno corrisposto loro la quota li riportano a terra, al centro di detenzione. Il 2 febbraio 2017, in un altro articolo pubblicato in inglese sul sito dell'Ispi, Nancy Porsia pone nuovamente la questione dei rapporti tra Bija e l’Italia.

Il 20 febbraio 2017, un altro pezzo, su TRT World, un cui si dimostra come Al-Bija gestisca il traffico di migranti a Zawiya, torturandoli e lucrando sulla loro pelle, con l’Europa che sa tutto.


“Intanto – continua VillaThe Times riceve e pubblica un breve filmato. Nel video si vede al-Bija frustare migranti su un barcone intercettato. ‘Siamo costretti a farlo, serve a riportare la calma’, dichiarerà”. “Arriviamo ad aprile -  continua Villa -, mancano due settimane alla foto. Ormai la notizia è di dominio pubblico: si sa chi è Bija, che gestisce sia la ‘guardia costiera’ di Zawiya, sia lo stesso traffico di migranti. Lo racconta anche Annalisa Camilli su Internazionale. Il 10 maggio, il giorno prima dell’incontro al Cara di Mineo, gira un dossier dei servizi austriaci sul famigerato Bija,in cui si dice che Bija gestisce la "prigione degli stranieri" di Zawiya, dopo aver estromesso con la forza le altre milizie dai traffici.


E i servizi segreti italiani erano all’oscuro? Difficile crederlo. “Meno di 24 ore dalla foto con Bija in Italia – continua Villa -, Gianandrea Gaiani (direttore di “Analisi Difesa”, linea durissima sull’immigrazione irregolare) conferma: i servizi sanno tutto. ‘Si conoscono nomi, cognomi, indirizzi, numeri di telefono e di targa di tutti i trafficanti’. Infine, a una settimana dal summit a Mineo, Francesco Bechis scrive su “Formiche News” che al-Bija sarebbe “in Italia per essere addestrato da alcuni ufficiali della guardia costiera italiana”. Sarebbero ben 93 gli uomini della Guardia costiera libica che avrebbero completato l’addestramento in Italia. “Non una semplice ‘visita’”, commenta Villa. Ma a Mineo e Roma non sapevano.

Quindi arriva, un anno dopo dalla foto di al-Bija in Italia, la decisione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che inserisce al-Bija e altri 5 trafficanti nella black lista delle persone sotto sanzione. Ma “è il culmine di un processo formale, durato mesi” – conclude Villa. A seguito della sanzione Onu, Bija sarebbe stato sospeso dal servizio. “Ma in realtà – ribatte Nello Scavo -, come documentato più volte da Avvenire e altre testate internazionali, oltre che da indagini delle Nazioni Unite, le motovedette del boss di Zawyah sono ancora attive e rispondono alle chiamate della centrale di Tripoli, a sua volta allertata dalle Guardie costiere di Paesi come Italia e Malta. L’Ue, dunque, non si assume responsabilità per quanto i singoli Stati fanno, ritenendo di avere dato indicazioni precise per stare alla larga da personaggi con pochi scrupoli”. Ponzio Pilato docet.


L’incontro sarebbe stato organizzato dall’Oim, Organizzazione internazionale delle migrazioni, agenzia delle Nazioni Unite, fanno trapelare fonti vicine all’allora governo Gentiloni. Ma – scrive Scavo“dall’Onu fanno sapere che l’incontro fu organizzato dai ministeri italiani coinvolti a vario titolo nella gestione della crisi migratoria insieme al governo libico, che aveva trasmesso la lista dei partecipanti”.


Anche l’intelligence italiana ha seccamente smentito la presenza di funzionari del servizio segreto a Mineo. “Con un distinguo – aggiunge tuttavia Scavo. “Nella precisazione viene indicato che «nessun funzionario dell’Aise ha mai partecipato a quella riunione». L’Aise è l’agenzia per la sicurezza esterna. Curiosamente, non viene indicata l’assenza anche di uomini dell’Aisi, l’Agenzia informazioni e sicurezza interna”. In ogni caso il Cara di Mineo era un centro blindatissimo, dove – e ne abbiamo fatto più volte esperienza diretta – non potevi entrare dalla porta principale senza previa autorizzazione e presentazione di documenti. A meno che non si pensasse di entrare clandestinamente, e allora il centro – come dimostrato dalle inchieste della Procura di Caltagirone sulla truffa del badge– era un colabrodo. Ma non è il caso di Bija, entrato con tutti gli onori  dentro un auto con i vetri oscurati.


“Una bugia – sosteneva Mark Twain – fa in tempo a viaggiare in mezzo mondo mentre la verità si sta ancora mettendole scarpe”. Ma se ha le scarpe chiodate può anche scalare l’Himalaja.

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