Pubblicato il 30/06/2019
ATTUALITÀ
ph. Sea Watch

Carola, la samaritana



Tante, troppe parole si sono spese sulla Sea Watch e sulla sua capitana Carola Rackete. Tentiamo di far chiarezza, per evitare di ridurre la vicenda a una discussione di tifoserie da Bar Sport e ragionando di testa e non di pancia, secondo i principi del diritto e della morale, che sono l’humus dell’umanesimo su cui di fonda la millenaria civiltà europea.

di Giacomo Belvedere

Dopo il tweet sull’art. 54 c.p. e la vicenda Sea Watch ho ricevuto un numero impressionante di lezioni di diritto penale da grafici pubblicitari, professori di ragioneria in pensione, casalinghe, studenti del II anno di giurisprudenza e molti altri. Grazie a tutti, davvero”. Così, con fine ironia, scrive Gianrico Carofiglio su Twitter. Carofiglio, che prima di essere uno scrittore di successo è un magistrato, e dunque uno che la legge la conosce assai bene, aveva, da par suo, espresso un giudizio sulla vicenda della Sea Watch. Questo il tweet “incriminato”, che è stato sommerso dalle critiche degli improvvisati giuristi da tastiera: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona. Art. 54 codice penale che la capitana Carola - quella che ha battuto Salvini - potrà invocare per essere prosciolta”.


Proprio per evitare di ridurre la vicenda Sea Watch ad una discussione di tifoserie da Bar Sport, facciamo un po’ di chiarezza, pescando, in mezzo al mare infinito delle migliaia di parole, commenti, interventi, che hanno invaso i social – e che per lo più sono spazzatura – le perle – non molte – di chi si è espresso a ragion veduta, forte della sua esperienza e competenza.   


CAROLA, LA SAMARITANA – Una prima riflessione ce la impone il ricorso, sbandierato spesso dai sovranisti nostrani come una patente d’identità esclusiva, alle cosiddette “radici cristiane”. C’è una parabola che si attaglia a perfezione alla vicenda della Sea Watch e della sua comandante, Carola Rackete: quella del buon samaritano. Abbiamo quattro personaggi: la vittima, il sacerdote e il levita, e il samaritano. Della vittima non sappiamo nulla, se fosse israelita o pagano, giovane o vecchio, ecc., tranne che, dopo essere stato aggredito e derubato era “mezzo morto”.  Il testo evangelico suggerisce che le vittime sono tutte uguali, vanno soccorse senza “se” e senza “ma” e non vanno selezionate secondo la logica del “prima i miei”, perché siamo noi il “prossimo” di chi chiede aiuto.


Ci sono altri due personaggi di cui sappiamo lo status sociale: il sacerdote e il levita. Hanno in comune il rispetto ossessivo della legge. Stanno andando a Gerusalemme, al tempio, e non possono contaminarsi col sangue della vittima, che non è neppure uno dei loro, visto che va da Gerusalemme a Gerico, in un giorno  in cui si dovrebbe andare invece a pregare al tempio.  “Prima i nostri”, avranno pensato. In ogni caso, per i due non se ne parla nemmeno di soccorrere il malcapitato: avrebbero infranto la legge, macchiando la loro purità rituale e non avrebbero potuto partecipare alle celebrazioni. Inoltre, siamo con ogni probabilità di sabato, e la legge proibiva il lavoro il sabato. I due non hanno dubbi o tentennamenti: passano oltre. Quell’uomo non è un loro problema. Loro hanno obbedito alla legge, sono impeccabili nel loro legalismo farisaico.

C’è poi il samaritano, appartenente a una categoria ritenuta eretica, perché non riconosceva e rispettava la legge di Mosè. Il samaritano infrange la legge e soccorre la vittima. Sa che non è stato fatto l’uomo per il sabato, ma il sabato per l’uomo. Carola Rackete è stata la samaritana che ha infranto consapevolmente la legge per istanze di ordine maggiore.


PRIMA DELLA LEGGE L’UMANITÀ - La legge non si autogiustifica in sé, ma ha sempre un finalismo antropologico: è per l’uomo. Lo aveva già detto anche Aristotele: lex iniqua non obligat. Nel caso in cui il rispetto della legge provocherebbe una palese ingiustizia, il filosofo greco ricorre alla categoria dell’epicheia (equità). L’epicheia è il correttivo della giustizia, laddove l’applicazione letterale della legge sarebbe di per sé ingiusta: un andare oltre la legge per salvaguardale la moralità dell’atto. Non è dunque un semplice “aggiustamento” opzionale, un’applicazione “alla buona” della legge e neppure una sconfessione della legge in quanto tale, ma una virtù morale, che va necessariamente applicata, laddove occorra preservare la giustizia e l’ordine morale ed evitare ogni legalismo disumano.

All’epicheia si ispira l’art. 54 del Codice penale che recita per l’appunto che “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona”.


DE FALCO: “RACKETE HA AGITO BENE”- Gregorio De Falco, senatore del gruppo misto ed ex comandante della Guardia Costiera, famoso per aver richiamato Schettino al suo dovere, ha spiegato, a questo proposito, che la Rackete ha fatto quello che andava fatto. Aveva dei naufraghi a bordo – naufraghi, precisa De Falco, non migranti – e aveva il dovere, secondo le leggi del mare, di soccorrerli e portarli nel porto più vicino e sicuro, che non può essere la Libia, di cui tutti conoscono lo stato di guerra e le disumane condizioni dei campi di detenzione. Inoltre, da 36 ore aveva dichiarato lo stato di emergenza e aveva chiesto l’ingresso al porto. De Falco fa l’esempio dell’ambulanza o di chi si trova in auto un passeggero che si sente male: che fare? Si segnala l’emergenza con la sirena o si comincia a strombazzare col clacson, dirigendosi a tutta velocità all’ospedale più vicino, non tenendo conto del semaforo rosso o dell’obbligo di precedenza. C’è un’esigenza superiore al rispetto rigido del codice della strada.


Quanto all’episodio della motovedetta della Guardia di Finanza, che la Sea Watch ha rischiato di speronare, De Falco è lapidario: la manovra della motovedetta era sbagliata. Se il comandante della motovedetta – dichiara il senatore a Famiglia Cristiana - avesse voluto impedire l’ormeggio alla banchina, semplicemente poteva lei ormeggiarsi alla banchina e occuparla. Invece, come mi hanno raccontato i parlamentari che erano a bordo, la motovedetta faceva avanti e indietro lungo la banchina impedendo l’ormeggio alla Sea Watch. Ma mi chiedo che senso avesse tutto questo”. Riprendendo la metafora di prima, immaginate che, mentre correte verso l’ospedale suonando a distesa il clacson, dopo essere passati col rosso, un’auto dei vigili vi tagliasse la strada e vi facessero scendere dall’auto, chiedendo patente e libretto e contestandovi l’infrazione, incuranti delle vostre proteste. Chi sta infrangendo la legge? In caso di emergenza le forze dell’ordine hanno il compito di agevolare, non di ostacolare il soccorso. Invece la Sea Watch non solo non è stata agevolata - commenta De Falco -, ma è stata ostacolata da una motovedetta della Guardia di Finanza che su disposizione non so di chi si è frapposta all’ingresso”, con una manovra improvvida e non giustificata da alcuna procedura, che ha messo a repentaglio la vita degli occupanti della motovedetta. De Falco aggiunge inoltre, che per nave da guerra deve intendersi una nave della Marina militare, che è comandata da un ufficiale di Marina, cosa che non è una motovedetta della Finanza. Che, semmai, avrebbe dovuto scortare la Sea Watch in porto e solo poi salire a bordo per verificare lo stato di emergenza e, caso mai, sanzionare la comandante se tale stato non fosse stato riscontrato.     


LA LEGGE È UGUALE PER TUTTI? – La legge è uguale per tutti: è un principio basilare del diritto. Perché se  la legge non fosse uguale per tutti, quella legge, o la sua applicazione, sarebbe ingiusta. Il sindaco di Lampedusa, Totò Martello, ha lamentato che in questi giorni ci sono stati due pesi e due misure:  “gli sbarchi fantasma di cui nessuno parla”, e gli sbarchi delle Ong, che scatenano il finimondo. In questa settimana a Lampedusa, mentre tutti i riflettori erano accesi sulla Sea Watch, sono sbarcate, alla chetichella e senza che nessuno avesse nulla da ridire, 200 persone. Ora, è lecito domandarsi: perché non si è usato lo stesso pugno di ferro usato con la Ong tedesca?  Se, per legge, quegli sbarchi erano illegittimi e dunque i porti erano chiusi, devono esser chiusi sempre e per tutti. Altrimenti la legge, che si invoca a gran voce come principio indiscutibile e inderogabile contro la Sea Watch, sarebbe palesemente ingiusta di per sé o nella sua applicazione. E, ancora una volta, lo ripetiamo: lex injusta non obligat. Una legge ingiusta non obbliga. Prima della legge vengono le ragioni della comune umanità. Sono queste le radici dell’umanesimo su cui è costruita la civiltà europea. Negarle sarebbe aprire la porte alla barbarie.


C’È UN PRECEDENTE C’è un precedente, singolarmente simile alla vicenda della Sea Watch. Risale a 15 anni fa. La Nave Cap Anamur, dopo oltre 15 giorni di stallo in acque internazionali, forzò il blocco navale imposto dal governo Berlusconi, per impedirle di far sbarcare a Porto Empedocle i naufraghi che aveva salvato. Il comandante e il presidente della Ong Cap Anamur furono arrestati e la nave sequestrata per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina

Lo ricorda, con un post su Fb, Giorgio Bisagna, avvocato penalista specializzato nella tutela dei diritti umani, diritto penale, dell'immigrazione e assistenza a enti no profit. “Io seguii – scrive Bisagna - la vicenda sin dall'inizio per conto del Consiglio Italiano Rifugiati, salendo diverse volte a bordo. I migranti dopo lo sbarco furono internati in un centro di identificazione ed espulsione, immediatamente sentiti dalla Commissione per il Riconoscimento dello Status di Rifugiato e altrettanto velocemente rimpatriati. Senza processo né garanzie”.

Dopo 5 anni il Tribunale di Agrigento assolse gli imputati per avere agito in presenza di una causa di giustificazione. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sanzionò questa condotta.
“La storia – conclude amaramente Bisagna -, dopo lo sprazzo di dignità dell'operazione Mare Nostrum, si ripete. Sempre senza dignità né onore da parte di chi infierisce sui più deboli e trema con i forti. Noi staremo sempre con la Cap Anamur e i suoi sconfitti”.

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