Pubblicato il 21/04/2019
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Nessun faraone potrà fermare le pasque nel Mediterraneo



Pasqua vuol dire "passare oltre", affrontare il deserto e il mare per conquistare la libertà. Il Mar Rosso è oggi il Mediterraneo: nessun faraone potrà arrestare la marcia verso la libertà della terra promessa; nessun Pilato o Caifa di turno potrà serrare per sempre la via d'uscita al Crocifisso con la pietra tombale, innalzando reticolati e muri e chiudendo i porti. Una riflessione scomoda sulle tante pasque dei nostri giorni.

di Giacomo Belvedere

Pasqua vuol dire passare oltre. Pasqua è mettersi in moto, attraversare il deserto e il mare, per conquistare la libertà. Decide di tentare l’impresa della pasqua chi è schiavo, oppresso, prigioniero. In caso contrario non scatta la molla. Nessun Mosè potrebbe altrimenti convincerti a rinunciare alle cipolle d’Egitto per mettere a rischio la tua vita e quella dei tuoi cari.


Solo quando non hai più nulla da perdere, decidi di partire per l’esodo. Solo chi ha sperimentato l’abiezione più profonda, scommette sulla vita. E non gli fanno paura il deserto e il mare. Sa che potrebbe non farcela, ma la prospettiva della vita e della libertà è più forte di tutto. La terra promessa è più che un sogno o un miraggio: è l’unica chance di riscatto. L’unica possibilità di tornare ad essere umani. E allora sali su un barcone fatiscente e sfidi il mare aperto.


E nessun faraone potrà ostacolare la pasqua dei derelitti che aspirano a liberarsi dalle catene. Tenteranno di respingerli in Egitto, di farli tornare alle prigioni di un tempo. L’Egitto di oggi si chiama Libia. Ieri bisognava che i profughi passassero il mar Rosso, oggi il Mediterraneo. Ma non riusciranno a fermarli. Non possono fermare le tante pasque nel Mediterraneo. Possono rallentare la marcia verso la libertà; possono rimandarli indietro: si rialzeranno e ritenteranno l’impresa.

Si illude il faraone di turno di arrestare l’esodo con i suoi cavalli e cavalieri,  chiudendo i porti, innalzando reticolati e muri: non può impedire che nel cuore di chi è oppresso sorga un Mosè che lo spinga a mettersi in marcia verso la salvezza.


Crocifissero il Cristo perché non predicava che fossero prima i nostri, ma che erano prima gli ultimi. Il Nazareno era pericoloso: attentava alle radici religiose della nazione. Il suo vangelo non era oppio dei popoli: criticava le consorterie del potere civile e religioso; metteva in crisi il fariseismo di una religiosità ipocrita ed esteriore; abbracciava nel suo amore prostitute e pubblicani; era contro i processi sommari e le lapidazioni facili. Doveva morire per salvare la religione del potere, quella dei giuramenti con i rosari in mano e dei proclami sui vangeli. Quella che vota Barabba.  


Certo la pasqua non è l’happy end di una storia romantica, ma il passaggio drammatico dalla vita alla morte e dalla morte ad una vita che non muore più. A pasqua è il Crocifisso che risorge, con ancora impresse nel corpo le stimmate dell'atroce sofferenza patita. Ce lo ricordano dolorosamente, in questa pasqua, i tanti morti nel Mediterraneo; ce lo ricorda lo Sri Lanka insanguinato dalle stragi provocate da un fanatismo religioso, che di religioso non ha nulla.


Hanno cercato di fermare con sangue il Risorto. Lo fecero duemila anni fa, inchiodandolo ad una croce, perché non potesse più muoversi. Ma Lui passò oltre. Nessun Pilato o Caifa può serrare per sempre la via d'uscita al Crocifisso. Quei chiodi non lo fermarono. La pesante pietra tombale non lo fermò. Il sangue di queste stragi dell'indifferenza o del fanatismo non lo fermerà.
Non possono, non possono uccidere la Vita.

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