Pubblicato il 01/04/2019
CULTURA
ph. Fabio Navarra

Antonio Manzini a Caltagirone: “Ecco il mio Rocco Schiavone” - VIDEO



L'autore ha divertito da par suo il pubblico dei lettori e degli appassionati, presentando l’ultima fatica della saga del suo vice questore bordeline, Rien ne va plus. L’incontro, sabato 30 marzo, nell’ex Pescheria di Caltagirone, nell’ambito della rassegna “Scrittori strettamente sorvegliati”. La Libreria Dovilio di Caltagirone, ancora una volta, fa centro, grazie al coraggio e a una buona dose di incosciente follia della sua vulcanica animatrice, Daniela Alparone.


di Giacomo Belvedere

Ironico, pronto alla battuta salace, da buon romano che non dimentica le sue radici. Proprio come il suo notissimo personaggio, il vice questore Rocco Schiavone. Antonio Manzini ha divertito da par suo il pubblico dei lettori e degli appassionati, presentando l’ultima fatica della saga del suo vice questore bordeline, Rien ne va plus. L’incontro, che fa parte di un tour siciliano che ha previsto tappe a Palermo, Catania e Siracusa,  si è tenuto sabato 30 marzo, nell’ex Pescheria di Caltagirone, nell’ambito della rassegna “Scrittori strettamente sorvegliati”. La Libreria Dovilio di Caltagirone, ancora una volta, fa centro, grazie al coraggio e a una buona dose di incosciente follia della sua vulcanica animatrice, Daniela Alparone.

Ha presentato l'autore, la scrittrice Cristina Cassar Scalia, di casa alla Dovilio, dove è stata ospite con il suo Le stanze dello scirocco.


Rien ne va plus riprende le fila interrotte del precedente romanzo: Fate il vostro gioco.  L’omicidio del ragioniere Favre si è risolto troppo facilmente per Rocco Schiavone: lui non sente quello che chiama «odore», un collegamento nascosto col caso precedente. «Doveva ricominciare daccapo, l’omicidio del ragioniere Favre aspettava ancora un mandante e forse c’era un dettaglio, un odore che non aveva percepito».


C’è un furgone portavalori, carico di quasi tre milioni, le entrate del casinò di Saint-Vincent, che si volatilizza nel nulla. “Il casinò di Saint-Vincent – spiega Manzini -, è  una specie di moloch, ci passi sempre davanti e dovevo parlarne, prima o poi”. Le indagini sembrano scorrere su un binario scontato, forse troppo, e prendono le mosse dalle dichiarazioni di una delle due guardie, lasciata stordita sul terreno. Testardamente, contro il parere dei capi della questura e della procura che vorrebbero puntare all’inchiesta più altisonante, il vice questore si mette alla caccia della verità. Il suo metodo investigativo è, al solito, fuori dalle righe. Ma Schiavone non è un purista e rifugge dall’ortodossia. E si addensano le ombre oscure del suo passato: la morte del killer Baiocchi, assassino della moglie Marina, e il suo cadavere mai ritrovato; la precisa, verificata sensazione di essere nel mirino dei servizi segreti.


UN ROMANZO SERIALE - Un romanzo seriale, dunque. “Sostanzialmente – ha detto l’autore - questo è un romanzo lunghissimo. Ogni libro è un capitolo: l’unica differenza è  che devi ricordare molto bene tutti i personaggi che hai messo e come si chiamano - cosa che purtroppo ogni tanto sbaglio - e devi ricordarti bene dove stai portando il  personaggio e tutti gli altri e continuare a seguire questo progetto, dall'inizio e portarlo avanti fino alla fine”. Quanto durerà la saga? “Non so che fine farà Rocco Schiavone - è la risposta di Manzini. Quando non mi divertirò più, quando sentirò che mi sono svuotato, smetterò, perché non mi piace prendere in giro il lettore. Da lettore odio essere preso in giro, quando leggo un libro di uno scrittore, che capisco è stato più dettato da uno sforzo editoriale che non da necessità narrativa. Se io come lettore ci rimango male, non vedo perché debba farlo da scrittore.


CHI È ROCCO SCHIAVONE? Ma come è nato il personaggio di Rocco Schiavone? “Non mi ricordo come è nato Rocco Schiavone – confessa Manzini –. Mi ricordo solo che a un certo punto esistevano pensieri, riflessioni, voglia di scrivere di un poliziotto. Forse per la necessità di raccontare un po' il mio paese attraverso gli occhi di un vice questore”. Un personaggio che lo stesso autore rivela di non conoscere fino in fondo. “Io non so chi è Rocco Schiavone: è un signore che è nato nel 1967 a Trastevere. Per chi conosce Roma sa che Trastevere in quegli anni era un quartiere popolare. Soprattutto era pieno di banditi. Non era come lo vedi adesso, pieno di giapponesi e americani, dove una casa costa 10 mila euro al metro quadrato, con gioia dei vecchi trasteverini che si sono fatti i soldi, vendendo stamberghe a cifre spaventose. È nato li, stava per strada con i suoi amici, che ancora oggi gli sono accanto, che sono i tre amici del cuore, e sostanzialmente fino ai 17 anni era un bandito, un ladro, un truffatore. E questa vita ancora oggi, che è vice questore, gli pesa.


UN POLIZIOTTO BORDELINE - Un poliziotto fuori dalle regole - e anche spesso contro le regole -, e qualcuno ha storto il naso. Manzini fa spallucce: “Vabbè, ognuno fa il mestiere suo. È giusto anche, se uno non ama e non è d'accordo, è giusto che lo dica: siamo in democrazia ancora, no?” - ammicca. Poi spiega: Lui ha un etica molto stradaiola, non è un poliziotto da prendere come esempio: ruba, si fa le canne - c'è di peggio – ma, insomma, si fa le canne. Ha un suo modo di intendere la legge e la giustizia, che secondo Rocco non camminano sullo stesso binario. Non aggiusta niente, è sostanzialmente depresso, ha un lutto spaventoso che lo ha segnato e da cui non è mai uscito e non uscirà mai. Si trascina sostanzialmente giorno per giorno, fa il suo lavoro, perché è l'unica cosa che  gli resta da fare. Ha un cane che si chiama Lupa, forse l'unica femmina con la quale riesce a legare. Questo è Rocco: è un romano e porta tutta la sua romanità dentro un posto, come la Valle d'Aosta, che di romano non ha niente. È curioso che Aosta sia la città al mondo che, dopo Roma, ha più rovine romane: l’arco, il criptoportico, il teatro.  Ma sono fatti con una pietra strana, una pietra nera, che è la pietra alpina, ardesia, e anche lui in realtà è un romano tradotto lì, in una pietra nera: anche lui diventato ancora più scuro che in precedenza”.


“GIALLINI SI FARÀ ARRESTARE - Manzini definisce bellissima la trasposizione televisiva della saga del commissario, alla cui sceneggiatura, del resto ha lavorato  assieme a Maurizio Careddu: “Sono stati bravissimi. Mi dispiace perché le polemiche sono sempre più divertenti, ma non posso proprio far polemica. Mi sono piaciuti da morire: Giallini ha già capito tutto: ormai è diventato talmente tanto il vicequestore Rocco Schiavone che io ho il terrore che veda dei di poliziotti per strada e si cominci a comportare come Rocco Schiavone: non vorrei essere responsabile di un arresto di Marco Giallini”. Ma un appunto lo fa: sul cane scelto per fare la parte di Lupa. “Mi sono sentito male quando ho visto il cane che hanno scelto per fare Lupa. Per me i cani sono fondamentali. Lupa si chiama Lupa. Invece hanno preso una specie di barboncino, non so cosa sia quel cane là. Adesso io ho trovato il modo di mettere in crisi la produzione. Vorrei fare un racconto ambientato sul Gran Paradiso, dove Rocco sta facendo un'indagine. Lupa scappa e torna incinta, incinta di un lupo. Adesso voglio vedere come faranno con quel cane”.


STICAZZI O ME COJONI? - “La scala della rottura di scatole di Rocco Schiavone è mia, è autobiografica”. E autobiografica è anche la crociata contro il modo scorretto di usare al nord espressioni gergali romanesche, come “sticazzi”. “A Milano lo  usano per dire: accidenti. No, sticazzi vuol dire che non te ne frega niente. Quando dici: accidenti, devi dire: me cojoni. Se ti dicono: lo sai che mia moglie mi ha lasciato? E rispondi: sticazzi! Vuol dire che non te ne frega niente. Devi dire: mi dispiace. Me coglioni no, perché vuol dire: me lo sarei aspettato, accidenti!”.


IL MIO RAPPORTO CON CAMILLERI - Manzini rivela un particolare inedito del suo rapporto con Andrea Camilleri, che è stato suo insegnante in Accademia. “Mi ha dato da leggere il primo manoscritto di Montalbano. Dimmi che ne pensi, mi ha detto. Dallo a un amico tuo, gli ho risposto. Gli amici miei sono tutti morti, la sua replica. Ecco, una cosa l'abbiamo in comune:  per noi d'ironia è l'unica arma per vivere. A casa mia si è sempre riso. È l'unica cosa che ci salva. Ricordo che papà se ne stava andando, era in ospedale, un posto terrificante, non me lo scorderò mai più finché campo. E l'ultima sua notte abbiamo parlato di gnocca: 86 anni. Quando è entrato al Pronto Soccorso, mi ha fatto un gesto di apprezzamento: dove ti ho portato? E io: papà, livello altissimo! E lui: Mica sono uno da buttar via! Dall'altra parte c'era uno spettacolo devastante, però siamo riusciti a ridere pure di questa cosa. Per questo Andrea Camilleri è subito diventato mio amico e maestro. Andrea fa ridere, ma tanto”.

INTERVISTA VIDEO



ph. Andrea Annaloro

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